Bibliografia Vichiana I

20

UN FRAMMENTO

V FRAMMENTO D’UN PRIMO ABBOZZO DEL « DIRITTO UNIVERSALE »

Giunti a questo punto, malgrado il proposito di tenerci lontani dalla storia interna degli scritti vichiani, è indispensabile, per la stessa intelligenza di quella esterna, premettere qualche cenno generalissimo sullo svolgimento del pensiero del Nostro dal 1699, data, come s’è visto, della sua prima orazione inaugurale, al 1720, inizio della pubblicazione del Diritto universale, ossia di quel complesso di scritti che il Vico medesimo considererà (Opp., V, 72) « abbozzo » della Scienza nuova. Dalla prima orazione inaugurale sino alla Seconda risposta al « Giornale de ’ letterati» (1712) il Nostro, pure allontanandosi sempre più dal cartesianismo, o, per essere più esatti, da quell’ eclettismo, che, contesto prevalentemente di cartesianismo, imperò a Napoli tra la fine del Sei e i principi del Settecento (Nicolini, Giovinezza di G. B. Vico, pp. 78 e 101), non lasciò mai di considerare la realtà da un osservatorio intellettualistico, con l’ovvia conseguenza che, quando si fece a ricercare i fondatori o creatori di civiltà, non seppe ritrovarli se non in quei preistorici filosofi italici, ossia in uomini intellettualisticamente dotati, i quali, appunto perciò, sarebbero riusciti a incivilire la propria nazione e, attraverso questa, il mondo. Senonché, uno o due anni dopo la pubblicazione della Seconda risposta, ch’è come dire nel 1713 o ’l4, in occasione d’una sua rilettura del De iure belli et pacis di Grozio, avveniva in lui, come implicitamente, se non esplicitamente, è raccontato nell’ Autobiografia (Opp., V, 39), la mirabile rivoluzione, per cui da codesta filosofia, che faceva ancora dell’intelletto o raison la facoltà primigenia dello spirito, egli passava a una concezione opposta, per la quale primigenia facoltà spirituale diveniva la fantasia, con la conseguenza che creatori di civiltà furono per lui non più filosofi ma « bestioni », ossia uomini primitivi, dotati, più che d’intelletto raziocinante, di robustezza di sensi, di passione e di fantasia, vale a dire di facoltà arazionali, mercé delle quali, rebus ipsis dictantibus, seppero, ciascuno autoctonamente nell’àmbito di aggregati sociali sempre più vasti (famiglie, gentes, città, Stati), far pervenire questi via via dalla belluinità delle origini a forme sempre