Bibliografia Vichiana II
MICHELET
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systèrne harmonique da monde civil», o, eh’è il medesimo, si collocò non già, come poi il pubblicista prussiano, nella natura, ma nell’uomo stesso, « dans l’homme s’humanisant par la société » ; e che, appunto perciò, « mon vieux Vico est le véritable prophète de l’ordre nouveau ». Notevole anche il breve avant-propos premesso nel 1834 alle (Euvres choisies de Vico , tanto perché vi si addita in due luoghi del Paradiso dantesco (XXIII, 1-15 e XXVII, 1-21), se non la fonte, certamente un motivo d’ispirazione della dipintura allegorica preposta alla seconda Scienza nuova ; quanto perché vi si forinola l’osservazione, divenuta poi vulgata : che il metodo del Vico è tanto più importante in quanto « il n’est peul-étre aucun inventeur dont on puisse moins indiquer les précédenls ». Dell’ Histoire de la revolution frangaise non è possibile dire altro se non che, come ha osservato testé l’Omodeo, l’autore, « poggiandosi su una non felice interpretazione di Vico, fa della storia della Rivoluzione l’opera esclusiva dell’unico personaggio, il popolo ». Qualche parola in più è da soggiungere intorno ad altri due scritti : a quella sorta di poetica del diritto che s’intitola Origines du droit frangais cherchée dans les symboles et formules du droit universel (Parigi, 1837) e al VHistoire de la république romaine (ibidem , 1839). Circa il primo scritto nel quale l’autore offre, nei riguardi del diritto francese, un quissimile di ciò che, nei rispetti del diritto procedurale in genere, aveva, nella sua Procedura penale , esibito Nicola Nicoìini (v. sopra p. 464), già il Monod poneva in rilievo eh’ esso era ispirato alla Scienza nuova e alle Antichità del diritto germanico di lacopo Grimm. E certamente non v’è studioso del Nostro che, nel leggere quel lavoro, non avverta continui riecheggiamenti vichiani. Per citare un esempio solo, sulla degnità xxxvi «la fantasia è tanto più robusta quanto è più debole il raziocinio » e sulla caratterizzazione dei bestioni primitivi quali uomini « le menti do’ quali di nulla erano assottigliate, di nulla spiritualezzate, perch’erano tutte immerse ne’ sensi, tutte rintuzzate dalle passioni, tutte seppellite ne’ corpi » (Vico, Opp., IV, capovv. 185 e 378), è ricalcato l’aforisma : « L’imagination des premiers hommes fut d’autant plus féconde en symboles poétiques qu’ils étaient plus jeunes, plus grossiers, plus incapablcs d’abstraire ». Per passare alla République romaine , basterebbe il detto sin qui a mostrare l’impossibilità che la storia romana antica fosse considerata dal Michelet con animus diverso da quello vicinano o, che per lui era lo stesso (v. sopra p. 509), niebuhriano. Comunque, nella prefazione all’edizione del 1839 quella prefazione ch’è tutta un inno al Vico, al Niebuhr e alla libertà il Michelet dopo avere accennato ai primi tentativi di demolizione del racconto liviano e dopo avere premesso che, per « compléter la destruction du roman », e soprattutto « pour recommencer l’histoire et la recréer », occorreva « s’élever à la véritable idée de Rome » soggiunge che codesta idea partì «du pays de l’idéalisme, de la Grande Grèce, de la patrie de saint Thomas et de Giordano Bruno » ; e particolarmente per opera d’un uomo nel quale « le vieux génie du nombre, la subtililé scolastique, la philosophie spiritualiste et l’école deSalerne, le droit romain et le droit féodal, dans leur opposition, tout coexitait » ; un