Bibliografia Vichiana I

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MONTI

Donde viene egli si domanda che la Scienza nuova del Vico, opera meravigliosa, ha sì pochi lettori ? Non altronde, al certo, che dallo stile. La Scienza nuova è come la montagna di Golconda, irta di scogli e gravida di diamanti. Esaminando il Vico le religioni e i governi e i costami e le leggi e le opinioni e le lingue dei primi tempi del mondo, e tutte percorrendo l’età degli dèi, degli eroi e degli uomini nelle più remote politiche società, trova quel vasto ingegno i principi di una nuova giurisprudenza e di un’eterna repubblica naturale. Se questi ardui pensamenti, sparsi della più sublime filosofia e di peregrina incredibile erudizione, venissero raccomandati da una lingua più liberale, più tersa, più fluida, il poeta, l’oratore, il legislatore, il filosofo non avrebbero libro per avventura né più utile né più caro. E chi amasse di chiamar a rivista le idee generatrici e profonde delle quali si è fatto saccheggio nel Vico, tesserebbe un lungo catalogo e nuocerebbe a molte reputazioni. Chi scrive opina, invece, che non nuocerebbe, se è vero, come gli sembra verissimo, che incontrarsi col Vico, e magari giovarsene abbondantemente, fosse, specie nel 1803, una prova d’ingegno, e che porre a profitto, e magari largamente, i grandi libri sia cosa, forse, di cui soltanto gli sciocchi, che non li intendono, sanno fare di meno. Prova ne sia che proprio il Monti, così ricco d’ingegno, e proprio nell’atto che lanciava cotali anatemi contro i saccheggiatori della Scienza nuova, la saccheggiava per suo conto. E, invero, in quel medesimo corso d’eloquenza, secondo testé ha posto in rilievo il Nicastro, insegnava ai suoi ascoltatori pavesi, guardandosi bene dall’ avvertire che traeva questi pensieri dal capolavoro vichiano, che « Omero valevasi di una lingua la più poetica di quante siano mai state parlate», «non ancora debilitata né attenuata dalle fredde sottigliezze dei rètori e dei grammatici » ; « d’una lingua vergine, fervida, vigorosa », che « era tutta senso ed al senso richiamava tutte le idee » : tale, insomma, che « ogni moto del core, ogni operazione dell’intelletto, la virtù, il vizio, le passioni, le opinioni, tutto veniva personificato » ; che, laddove « ogni passo della filosofia è un passo verso la perfezione», «avviene tutto il contrario nella poesia », che «può arrivare d’ un tratto ad un certo grado di bello, oltre cui il bello sparisce e comincia il difetto ; e, mentre nella scienza, progressiva, l’ultimo passo è sempre il più degno, nella fantasia, al contrario, i primi lampi sono sempre i più vivi »; e, come se ciò non bastasse, anche che « a far sì che Omero sembrasse esser dotto senza dottrina, artificioso senz’ arte e filosofo senza filosofia, contribuirono le circostanze dei costumi e dei tempi ».