Bibliografia Vichiana I
GRASSI - LEOPARDI
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mente a Torino, presso la stamperia reale, nel 1821. Ivi, nel combattersi la teoria che, nello scrivere, convenga porre mente soltanto alle cose, non anche alle parole, si rammenta « quel grande ingegno del Vico e alcuni filosofi nostri » (Bruno e e Campanella?), i quali, secondo il Grassi, avrebbero avuto scarsa fortuna « appunto perché s’occuparono delle cose sole senza l’amabile compagnia delle parole, le quali imbalsamano i concetti e gli preservano dalla corruzione » . 4. G. Leopardi. Per passare ora all’ Italia media, colui che la grandezza del nome impone di ricordare per primo è Giacomo Leopardi, il quale, come appare da quattro luoghi dei Pensieri di varia filosofia e di bella letteratura, ossia del cosiddetto Zibaldone, fu accurato studioso del Nostro. Nei primo passo si allega, tra altri, il « De Vico » a sostegno del fatto che tutti i grandi filosofi, antichi e moderni, si sono mostrati quanto mai attaccati ciascuno ai proprio sistema. Nel secondo si dà quasi la baia al Wolf, al quale bastò un verso del sesto libro dell 'lliade « non solo a dare corpo alle ipotesi del Vico che Omero non abbia scritto poemi, ma inoltre a discernere in che epoca della civiltà del genere umano fosse incominciata la Iliade ». Nel terzo si riferisce un passo della seconda Scienza nuova ( Opp ., IV, capov. 856) su Esiodo. Nel quarto è detto (cfr. sopra p. 395) che « il Wolf non nomina mai il nostro Vico, il quale de’ cinque libri de’ suoi Principi di scienza nuova , terza edizione, Napoli, 1744, ne ha uno, cioè il terzo, intitolato Della discovetta del vero Omero , tutto dedicato alle questioni voìfiane. Nel qual libro con minore abbondanza e sviluppamento di prove che il Wolf, ma pure con buone e forti ragioni, alcune delle quali non toccate da esso Wolf, asserisce e dimostra che Omero non lasciò scritto niuno de’ suoi poemi, poiché infino ai tempi di esso Omero, ed alquanto dopo di lui, non si era ritruovata la scrittura volgare ; che perciò i popoli greci cotanto contesero della di lui patria », e via continuando in codesto riassunto contesto delle parole stesse del Nostro. Notevole altresì quel passo dell Parini ovvero della gloria, nel quale s’osserva che a far progressi notevoli nella filosofia, non bastano sottilità d’ingegno e facoltà grande di ragionare, ma si ricerca eziandio molta forza d’immaginazione ; e che il Descartes, Galileo, il Leibnitz, il Newton, il Vico, in quanto all’ innata disposizione dei loro ingegni, sarebbero potuti essere sommi poeti ; e, per lo contrario, Omero, Dante e Shakespeare, sommi filosofi. Giudizio, quest’ultimo, che il Vico avrebbe respinto (cfr. Opp., Ili, capov. 314); ma che intanto, come si vedrà a suo