Bibliografia Vichiana II
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MICHELET
sgg.),. Al contrario, nello stesso anno Giuliano Ricci, dopo avere in un primo articolo inserito nell’ Antologia (n° 88, pp. 29 sgg.) esposto le proprie idee intorno alla Scienza nuova, in un secondo (n° 92, pp. 118 sgg.), non senza polemizzare contro le Revue encyclopédique , censurava severamente 1’ opera del Michelet, il quale scriveva (p. 121) non ha dato alla Francia «se non i frantumi della Scienza nuova ». Nessuna simpatia verso lo storico francese mostrarono Gabriele Pepe (v. sopra pp. 457-58), Francesco Predar! (v. più oltre capitolo secondo, paragrafo 1, numero 3) e meno di tutti il Gioberti. Già nell’ Introduzione allo studio della filosofia , 2. edizione (Brusselle, 1844), I, 41, egli deplorava che molti in Italia non conoscessero il Vico « fuori d’ un cattivo sunto di uno scrittore francese ». E in Degli errori filosofici di Antonio Rosmini, 2. edizione (Capolago, 1846), I, 370 (e cfr. I, 46), dopo avere asserito, contro ogni verità, che la Francia aveva fatto di tutto per soffocare la voce del Vico coetani si serbò intatto dalla labe gallica e seppe pensare italianamente » e che di lui non si sarebbe discorso più se i tedeschi non avessero avuto « capriccio ultimamente di disotterrare il cadavere del suo libro e rendere onore al suo nome », finge che i francesi dicano agl’italiani : « Ma, poiché il male fu fatto, noi saviamente ci riparammo, commettendo a un nostro confratello, cioè al nostro gran Michelet, di darvi un Vico rifatto ed attillato alla foggia francese, che voi faceste gran senno di anteporre al vostro genuino compatriota ». Sia poi ricordato di volo <;he dei rapporti ideali tra il Nostro e il Michelet s’occupò altresì il Massarani nei citati Studi di letteratura e d’arte, pp. 15-16. Per saltare a tempi meno lontani, A. Penjon, nell’ articolo Travaux récents sur Vico, inserito nella Revue philosophique, XXV (1888), p. 529, osserva che, se il Nostro aveva dovuto al Michelet d’avere per una quarantina d’anni goduto grande reputazione in Francia e anche in altre parti d’Europa, codesta « mode » vichiana, così come « était venue, elle a passé, et Michelet n’a pas été le dernier à déserter ces théories qu’il avait révélées avec une ferveur juvénil et la partialité d’un inventeur »: osservazione da parafrasare, con maggiore verità storica, nell’ altra che l’efficacia d’un pensiero come quello del Vico « non poteva essere né profonda né duratura nel tenace intellettualismo e spiritualismo francese » (Croce, Filosofia di Giambattista Vico*, p. 322). Si può bene sorvolare su un articolo del Biré, intitolato Un chapitre de Vhistoire de la presse e inserito ne Le Correspondant del 10 gennaio 1899. Ma bisogna pure fare battere l’accento su taluni studi di cui chi scrive s’è particolarmente giovato. Anzitutto è da vedere quello su Michelet et Vltalie di Gabriele Monod, discepolo prediletto dello storico francese e, sino alla propria morte, custode delle carte del maestro : studio preparato pel congresso internazionale di storia tenuto a Roma nel 1903 e inserito alle pagine 11-63 del volume « Jules Michelet, études sur sa vie et ses oeuvres avec des documents inédits » (Paris, Hachette, 1905). Del Monod sono da tenere presenti gli altri due volumi nei quali aveva raccolto le lezioni di storia generale e metodica storica tenute dopo il 1905 nel Collège de France e che vennero pubblicati postumi a cura di G. Brémont nei fascicoli 235 e 236 (Parigi, 1923) della Bihliothèque des Hautes Etudes col titolo La vie et la pensée de Jules Michelet. Importanti altresì un articolo del Lanson su La formaticii de