Bibliografia Vichiana II

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FUCHTA • BRUNS

nove volte), venne divulgato in Italia nella traduzione che ne diè fuori a Napoli nel 1854 Antonio Torchiarulo (v. ivi p. 22). E, invero, il Puchta riconosce, sì, che, nel precorrere le vedute del secolo decimonono sulla storia giuridica di Roma antica, il Vico aveva mostrato « tendenza più positiva » del De Beaufort (v. sopra pp. 239-41), ma ritiene poi che la Scienza nuova, « parte per la contrarietà dei tempi e dei concittadini dell’autore, parte per la sua intima natura, essendo un tessuto fantastico di storia, filosofia e pirronismo, fu sì povera di conseguenze che sembra piuttosto un fenomeno letterario, che fu ignorato al momento in cui poteva aver forza e importanza, e diviene obietto di attenzione quando la sua ora è passata ». Contro codesto modo di ragionare (o sragionare), inaugurato, come s’è visto (p. 504), dal Weber e fondato sulla credenza erronea che qualcosa a questo mondo possa essere stata invano, è da ripetere col Croce che « un unico discepolo può valere le decine e le centinaia, un effetto solo prodotto dopo secoli compensare un’efficacia ritardata per secoli, un oblio immeritato riuscire altrettanto memorabile e ammonitivo quanto una fama meritatissima, e una medesima verità, scoperta due volte in modo indipendente, da questa stessa duplicazione e apparente inutilità ricevere come il crisma della sua ineluttabile necessità ». Non sembra, per altro, che codeste o considerazioni affini passassero per la mente dei parecchi che in Germania ricantarono il ritornello intonato dal Weber e ripetuto dal Puchta. A ogni modo, tra essi fu il reputato erudito del diritto romano Carlo Giorgio Bruns (1816-80), autore, tra l’altro, d’una recensione del volume del Miiller ora mentovato : recensione pubblicata primamente nel Litterarische Centralblatt del 1854 (n u 44, pp. 703-704), poi raccolta nelle Kleinere Schriften, II (Weimar, Bohlau, 1882), pp. 336-37. Non che pel Bruns la « genialità » del Vico non sia « grande ». Ma, secondo lui, essa è altresì « rozza e stravagante » : ragione per cui gli sembra che il Nostro, « per molto tempo dimenticato nella sua stessa patria », venisse poi « apprezzato più del giusto ». Analogamente, il giurista tedesco scorge chiaro che il De uno « esibisce una dottrina filosofica generale dei fondamenti del diritto e dello Stato, ma con applicazione così immediata alla storia romana che la filosofia e la storia romana vi s ? incontrano di continuo e vi sono costruite l’una sull’altra ». Senonché proprio codesto filosofizzare o interiorizzare la storia di Roma primitiva è ciò da cui il Bruns, da buon filologista, si sente ferito al punto da qualificare « arbitrarie », « ingiustificate » e persino « ridi-