Bibliografia Vichiana II
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SCHWEGLEK
cessi bile lo studio dell' Orelli sul medesimo argomento (sopra pp. 503-504). Per lui (I, 136-38), il Vico è « infinitamente diverso, nella sua genialità confusionaria, dal chiaro, classicamente limpido e armonioso Perizonio ». Pure (soggiunge) il filosofo napoletano stabilito il principio che i popoli primitivi, data la loro incapacità di concepire ed esprimere idee astratte, pensavano e si esprimevano per «caratteri poetici ì> o personificazioni mitiche, presentò come tali, tra altri, Enea, Evandro e i sette re di Roma, di tra i quali, per esempio, a Romolo, come a carattere poetico del concetto astratto di « fondatore di città », sarebbero stati attribuiti molteplici istituti giuridici , in cui si venne svolgendo, lungo secoli, il diritto costituzionale romano (Vico, Opp., IV, capovv. 417-22). Altra cosa posta in rilievo dallo Schwegler è che, secondo il Vico, una parte della leggenda romana Evandro, Ercole, la venuta di Enea nel Lazio, il pitagorismo di Nurna, la provenienza dei Tarquini da Corinto, ecc. sarebbe di origine ellenica, nel senso che la boria nazionale greca avrebbe foggiato lutti codesti miti e la boria nazionale romana se li sarebbe appropriati ( Opp ., IV, 792-69). Che anzi a codesto proposito lo storico tedesco non manca di citare la degnità famosa, giusta la quale « la storia romana antica si truoverà essere una perpetua mitologia della storia eroica de’ greci » {Opp., IV, capov. 158). Importante per lo Schwegler è anche l’altra degnità sancente che «le tradizioni volgari », che « nacquero e si conservarono da intieri popoli per lunghi spazi di tempo ». « devono ave r avuto pubblici motivi di vero » {Opp., IV, capov. 149). Importante, perché induce il Nostro, dopo avere demolito il racconto tradizionale della storia costituzionale di Roma, della quale i romani di tempi seriori non avrebbero avuto se non « un’ oscura memoria, una confusa fantasia » {Opp., IV, capov. 665), a ricostruirla « con forza d’un’invitta critica metafisica » {Opp., IV, capov. 662), formolando al riguardo una serie d’ipotesi affatto personali sull’ origine e la condizione primitiva della plebe, sui rapporti tra patrizi e plebei nel periodo della loro lotta reciproca, sulle leggi agrarie, sullo scopo della legislazione decemvirale, su Ile richieste connubiali dei plebei, e così via. Senonché, nella loro maggior parte continua lo Schwegler codeste ipotesi sono tanto più insostenibili in quanto « negli scritti del Vico le vedute esatte e le osservazioni ingegnose sono commiste alla rinfusa con le congetture più stravaganti e gli equivoci più strani ». A ogni modo —conchiude, «le più degne di rilievo saranno notate più oltre a loro luogo ». Ma, non ostante codesta promessa, i rimandi al Vico, che s’ incontrano in altre parti dell’opera schwegleriana, non superano questi quattro (vero è che il lavoro restò incompiuto per la morte immatura dell’autore): I, 71, ove, dopo avere affermato nel testo che i sette re di Roma rappresentano sette « avvenimenti fondamentali » (« Grundthatsachen ») del periodo prerepubblicano, Io Schwegler aggiunge in nota che così aveva sostenuto già il Vico, del quale, traduce, abbreviandoli, due passi {Opp., IV, capovv. 412-22 e 532), in cui, per altro, si discorre non di « avvenimenti fondamentali », bensì d’istituti giuridici.