Bibliografia Vichiana II

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BACHOFEN

mentale : il periodo dell’afilologismo o misofilologismo, caratterizzato dall’antitesi verso il maggiore rappresentante della filologia metodica, il Mommsen. «La ribellione del Bachofen scrive a codesto proposito il Croce (77 Bachofen e la storiografia afilologica, nelle citate Varietà di storia civile e letteraria, prima serie, pp. 302-19) concerneva il modo in cui di solito gli eruditi trattano l’antico e il primitivo col riportarlo ai nostri concetti, sentimenti e istituti moderni e considerarlo quasi forma rozza e disorganica e debole di questi ; laddove, in realtà, nell’antico e nel primitivo sono concetti, sentimenti e istituti fondamentalmente diversi dai nostri, e dai quali i nostri sono sorti non per semplice ampliamento, ma ben più tosto per negazione e rivoluzione. E questo il momento che, dal primo che in modo intenso Io sperimentò in sé, si potrebbe chiamare vichiano; e inconsapevolmente vichiane suonano le parole con le quali il Bachofen lo esprime : ‘ Appartiene ai miei più profondi convincimenti che, senza una intera conversione di tutti i nostri stati d’animo, senza il ritorno all’antica e semplice freschezza di spirito e sanità, non si potrà avere neppure un barlume della grandezza di quell’antico modo di pensare, quando il genere umano non si era, com’oggi, allontanato dall’armonia con la creazione e col creatore oltramondano 11 Vico aveva parlato più volte delle ‘ aspre difficoltà della ‘ fatica molesta e grave ’, che egli aveva dovuta sostenere, per ‘ discendere da queste nostre umane ingentilite nature a quelle affatto fiere ed immani ’ dei primordi dell’umanità, essendoci, ora, 4 naturalmente niegato di poter entrare nella vasta immaginativa di que’ primi uomini, le menti de’ quali di nulla erano astratte, di nulla erano assottigliate, di nulla spiritualezzate, perch’erano tutte immerse ne’ sensi, tutte rintuzzate dalle passioni, tutte seppellite ne’ corpi ’, onde ‘ or appena intender si può, affatto immaginar non si può, come pensassero i primi uomini che fondarono l’umanità gentilesca’» (Opp., IV, capovv. 338, 378 e passim). Metterebbe conto, pertanto, di spogliare sistematicamente gli scritti del Bachofen per assodare se, oltre codesta comunanza nel punto di partenza, si riscontrino altre coincidenze col Vico, e quali, d’altra parte, siano le difformità e divergenze (una difformità importante è stata notata dal Croce, ed è che, come poi il Bachofen, « anche il Vico lavorò sovente d’immaginazione, ma non perché volgesse mai le spalle alla filologia e alla critica e adottasse i rapimenti del misticismo, sì invece per l’insufficienza del materiale di cui disponeva e per scarsa acribia »). Uno spoglio siffatto nell’attendere al quale occorrerebbe tenere presenti i tre nutriti volumi pubblicati da Cari Albrecht Bernoulli nel 1926 a Lipsia presso la Biblioteca universale del Reclam, col titolo «J. J. Bachofen, Urreligion und antike Simbole » gioverebbe anche a porre in chiaro se Io scrittore svizzero conoscesse direttamente la Scienza nuova e magari la ponesse a profitto. Giacché che egli avesse notizia del nome del Vico, pare non si possa revocare in dubbio. Si ricordi, per non dire altro, che era stato discepolo del Savigny (v. sopra pp. 508-509), che era grande amico e ammiratore del vecchio Gaspare degli Creili (sopra pp. 503-504), e che si recò due volte a Napoli (1843 e 1851), conoscendovi, tra altri studiosi locali (e restando poi dal 1843 al 1858 in