Il Molise dalle origini ai nostri giorni

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sato dal riferire un’avventura galante nel modo come si compiacque narrarla il Villani. L’avventura accadde nel 1258 e ne fu protagonista “ Messer Amelio di Molisio „ (si noti il cognome), nipote del Conte di Molise (certamente Matteo, allora nel suo undicesimo lustro di età). La Corte di Manfredi era a Barletta. Nella notte del 21 marzo messer Amelio, mentre era a letto con una popolana nella costei abitazione, venne sorpreso dai fratelli dell’amante, che lo condussero dal giustiziere, invocando ad alte grida la punizione. L’indomani gli stessi fratelli, e il padre , si gravarono presso il re per avere un’adeg nata riparazione alla offesa ueH’onoro. Il re, l’avventuroso e galante Manfredi, ordinò senz’altro ad Amelio, suo gentiluomo di camera, di sposare la ragazza. Messer Amelio informò della cosa Io zio, il quale da quel fiero barone che era rispose che in nessun modo accondiscendesse all’esortazione del re: si poteva rimediare con l’offerta di duecento onze (cioè 1200 ducati) che il nipote avrebbe erogate alla peccatrice, ed altrettante che egli, il Conte zio, avrebbe date del proprio per saldare la partita. Un’offerta, insomma, di 2400 ducati. Manfredi tenne duro: la ragazza sentenziò non doveva perdere la ventura che la bellezza lo aveva procurata ! Messer Amelio , messo alle strette , obbedì ; ed a nozze celebrato, il re in segno del reai compiacimento gli assegnò la terra di Alberona, in Capitanata. Il Conte di Molise restò corrucciato dell’accaduto; ma Re Manfredi, gran corteggiatore delle beltà muliebri, divenne l’idolo delle donno, o i suoi cortigiani d’allora in poi, “ tennero la bracchotta legata “ a sette nodiche. „ (88) Nel 1262, allorché il pontefice Urbano IV mosse la crociata contro Manfredi, il Conte Matteo ospitò il Re di passaggio a Campobasso. Tutti i baroni del Reame convennero presso il Re nel campo di Fresinone, dove era ad attendere le milizie franco-guelfo poste sotto il comando di Roberto di Fiandra. Durante l’attesa, si seppe che i ghibellini avevano fatto un colpo in Roma, ribellandosi al papa o nominando i magistrati popolari (o “ capo-rioni „). Si seppe altresi che le truppe crociate retrocedevano verso Roma, e che gli insorti invocavano aiuti da Manfredi. Manfredi, chiamati in assemblea i baroni, mise in evidenza la necessità dell’intervento, ed invitò tutti a seguirlo. Il Conte di Molise, rendendosi interpreto dell’ opposizione alle mire di Manfredi, disse che i baroni erano tenuti ad obbedire il re per difendere il Regno, non per conquistare altri Stati ; epperò al dovere avendo adempiuto lealmente, non intendevano secondare il Re in mi’ impresa alla quale non avevano alcun interesso. Manfredi, comprendendo lo spirito di “ Fronda „ del sermone, simulò indifferenza : chiese ai baroni un prestito di danaro (che non potevano denegargli, ciascuno avendone dovuto portar seco per le spese di guerra), ed alla testa dei fidi saraceni mosse verso Roma per suo conto esclusivo.