La critica e l'arte di Leonardo da Vinci

4 PARTE PRIMA

lume che |’ illumina non è in tutto d’esso colore. Quello che è qui detto si manifesta ne’ colori de’ panni, de’ quali le pieghe illuminate, che riflettono o danno lume alle contrapposte pieghe, gli fanno dimostrare il loro vero colore. Il medesimo fanno le foglie dell’oro nel dar lume l' una all’altra, ed il contrario fa da pigliar lume da un altro colore » (1).

Tale preferenza toglie a Leonardo un campo immenso di effetti cromatici, perchè moltissimo egli sacrifica al desiderio

di unità di luce.

Assai più felice è Leonardo nello studio dei rapporti fra colore e ombra.

« L'ombra del bianco veduto dal sole e dall'aria ha le sue ombre traenti all’azzurro; e questo nasce perchè il bianco per sè non ha colore» ; e perchè «la superficie d'ogni corpo partecipa del colore del suo obietto, egli è necessario che quella parte della superficie bianca partecipi del colore dell’aria suo obietto » (2).

«Le onbre delle piante non son mai nere, perchè dove

l’aria penetra non po esssere tenebre » (3).

Ombre azzurre. Erano ovvie a Paolo Veronese; sono ovvie i per noi, data tutta l’esperienza cromatica dell’ impressionismo moderno. Invece chi non ricorda la fatica sostenuta dai pittori avveniristi della seconda metà del secolo scorso per convincere se stessi, i loro maestri, il pubblico, che le ombre all'aperto non sono mai nere, ma hanno per base l'azzurro? Eppure era già dunque conosciuto, anzi applicato in opere d’arte che pur

(1) Trattato, B. 199. (2) Trattato, B. 192. Medesimo concetto si trova altrove: Richter, 278. (3) G. 8 a. Richter, 430.