La critica e l'arte di Leonardo da Vinci

TA O n

40 PARTE PRIMA

pinte; onde, per fuggire tale errore, non sieno fatte, nè replicate mai, nè tutto, nè parte delle figure, che un volto si veda nell'altro nell’ istoria » (1).

Ma il passo è isolato, perchè il noto rimprovero vinciano ai pittori italici di riprodurre nelle composizioni figure d' imperatori romani, è soltanto l’effetto di un grosso equivoco (2).

Comunque, secondo Leonardo, i « dipintori italici » peccano per l’astrattezza uniforme delle loro figure. Ì pittori non italiani sono pittori fiamminghi. Indirettamente, cioè, il biasimo di Leonardo significa apprezzamento delle qualità individuatrici della pittura fiamminga. S’ intende bene che numerose volte (3) i suoi biasimi possono dirigersi ai pittori fiamminghi ; ma è naturale che Leonardo non ne abbia citati i difetti già comunemente superati dagl’Italiani, ai quali con la mente si rivolge scrivendo.

Es *

Quando Leonardo scrisse il suo Libro di pittura, Michelangelo non aveva ancora fatto conoscere la sua prepotente personalità. Perciò, e per i non buoni rapporti personali dei due artisti, è naturale che il nome di Michelangelo non apparisca negli scritti di Leonardo. Tuttavia, bene s’ intende che in tutto il trattato può trovarsi una netta opposizione alle idee fondamentali che Michelangelo ebbe sull'arte.

(1) Trattato, B. 182.

(2) L'equivoco è derivato dal capitolo 98 del codice Barberini del Trattato (ed. Du Fresne 1651; ed. Classici Italiani 1804), capitolo che è identico a quello del Codice Urbinate citato più sopra (cap. 182 dell'edizione Borzelli e 186 dell'ed. Ludwig). Nel codice Barberini tuttavia, per evidente svista, invece di operatore è scritto imperatore. Il Mintz (L. d. V., Paris, 1899, p. 263) ha interpretato la svista come un accenno al classicismo eccessivo dei pittori italici; ed è stato purtroppo seguito dal Solmi (Fonti cit., p. 341).

(3) Per esempio in Trattato, B. 266, 438.