Bibliografia Vichiana I

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IL VICO E IL SECOLO DECIMONONO

conoscere né esattamente giudicare, la filosofìa idealistica germanica intese non già a strappare dalla vita la religione, ma ad affinarla, dando valore spirituale di religione alla filosofia stessa. Il certo, il duro certo, che il Vico distingueva dal vero del diritto, formò tema di meditazioni dal Tomasio al Kant e al Fichte, e da costoro ai recentissimi, che cercarono, se anche non trovarono, il criterio distintivo tra le due forme, e tutti o quasi tutti mostrarono viva coscienza di ciò che chiamarono « forza » o « coazione », e che era stato come obliato nella vecchia, superficiale e rettorica dottrina moralistica. La scuola storica del diritto, reazione al rivoluzionarismo e al riformismo astratto del secolo decimottavo, doveva ripigliare l’altra polemica del Vico contro il platonismo 0 il grozianismo di una repubblica ideale o di un diritto naturale fuori e sopra la storia e misura della storia, e riconoscere col Vico che il diritto è corrispettivo all’ intera vita sociale di un popolo in un dato momento storico e giudicabile solo in relazione a questa, e vivo e plastico e in continua mutazione come il linguaggio. Finalmente la prov. videnza vichiana, cioè la razionalità e oggettività della storia, che osserva logica diversa da quella che le viene attribuita dalle individuali immaginazioni e illusioni, prese nome più prosaico, ma non mutò carattere, nell’ astuzia della ragione, formolata dallo Hegel; e fu spiritosamente e cervelloticamente ritradotta nella popolare astuzia della specie dello Schopenhauer, e, poco spiritosamente, sebbene assai psicologicamente, nella cosiddetta legge wundtiana dell’ eterogenesi dei fini. Sono, come si vede, quasi tutte le idee capitali della filosofia idealistica del secolo decimonono, che si possono considerare ricorsi di dottrine vichiane. Quasi tutte, perché ve n’ha poi qualcuna, della quale nel Vico si trova non il precorrimento ma l’esigenza, non l’addentellato ma la lacuna da riempire; e per questa parte non si ha più il ricorso, ma il progresso del secolo decimonono sopra di lui, e dal coro gli sorgono contro voci discordanti di ammonimento o di rimprovero. La distinzione vichiana dei due mondi, dello spirito e della natura, a entrambi i quali era applicabile il criterio gnoseologico della conversione tra vero e fatto, ma al primo applicabile dall’uomo stesso perché quel mondo è opera dell’uomo, e perciò da lui conoscibile, e al secondo da Dio creatore, e perciò inconoscibile dall’ uomo, non fu accettata dalla nuova filosofia, che, più vichiana del Vico, sollevò la mente umana a spirito universale o Idea, e la natura spiritualizzò e idealizzò e, come prodotto anch’essa dello spirito, tentò d’intendere speculativamente nella « Filosofia della natura ». Distrutto per tal modo questo residuo di trascendenza, rifulse il concetto di progresso che il Vico non aveva scorto, e che i cartesiani e i loro seguaci del secolo decimottavo, nella loro maniera superficialmente razionalistica, avevano pure in qualche modo intravisto e affermato [v. sopra pp. 295-96, 356-58]. Ma a questo mancato riscontro fa compenso quello pienissimo tra le « discoverte » storiche vichiane e la critica e storiografia del secolo decimonono. Riscontro, anzitutto, nei canoni metodici : nella scepsi circa 1 racconti degli storici antichi, nella superiorità riconosciuta ai documenti e monumenti sulle narrazioni, nell’ indagamento dei linguaggi come tesori dei concetti e dei costumi primitivi, nell’ interpretazione sociale dei miti, nell’ importanza data agli svolgimenti spontanei sulle