Bibliografia Vichiana I
cuoco
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spensabile. E, invero, le menzioni esplicite del Nostro non sono più di dieci: a proposito dell’etimologia di « sodes » (I, 54), dell’identità tra « verum » e « factum » (I, 62), dell’intelligenza umana (I, 107), del significato di « dii immortales » (I, 123 e 11,17), della metafisica del De antiquissima (11, 24, note 1 e 2), del carattere oligarchico della rivoluzione attribuita al primo Bruto (li, 140), della derivazione di « ius » da « lupiter » (li, 165), del corso delle nazioni (11, 167). Per contrario, trenta o quaranta per lo meno sono i luoghi nei quali ognuno attenderebbe un rimando alla Scienza nuova, che, invece, manca: per esempio volendo limitare la scelta a quattro o cinque passi più importanti, sulla considerazione del pitagorismo più quale attività politica che non quale dottrina filosofica (I, 70-72) e sulla riduzione di Pitagora a mito (I, 105-106) ; sulla personalità d’Omero e sull’inesistenza della scrittura al tempo delia guerra di Troia (I, 171-75) : al quale riguardo l’omesso rinvio alia Discoverta del vero Omero appare tanto più strano in quanto il Cuoco, abitualmente molto zelante nel rivendicare la priorità del Nostro in ogni sorta di scoperte, rinvia, invece, all’Essai sur les langues del Rousseau (v. sopra p. 301) e ai Prolegomena del Wolf (sopra pp. 395 sgg.) ; —sulla negazione di originari influssi di cultura tra popolo e popolo e sull’autoctonia delle leggi primitive di ciascuno (I, 276) ; sulla storia romana dei primi cinque secoli (11, 133-58), nei rispetti della quale, come s’è visto, il Vico è citato una volta sola e su d’un particolare dato di fatto, laddove il Cuoco, pure togliendo di peso dalla Scienza nuova la concezione generale di quella storia, rimanda ben quattro volte al De Beaufort (v. sopra pp. 239 sgg.) e, cosa ancora più stupefacente, quattro altre al Terrasson, e proprio a proposito delle teorie prettamente vichiane sulle XII Tavole, che costui, come s’ è veduto (p. 233), aveva respinte sdegnosamente. In qualunque altro scrittore anomalie del genere farebbero pensare a un malcelato desiderio di farsi bello di penne vichiane. Nei riguardi, invece, del modestissimo Cuoco il quale, a differenza del Filangieri e del Pagano (v. sopra pp. 331 sgg. e 335 sgg.), s’atteggiò non mai a perfezionatore, bensì sempre a mero divulgatore del Nostro—un’accusa siffatta sarebbe tanto più ingiusta in quanto nella qui appresso citata lettera al Degérando {Scritti vari , I, 319) egli confessa col maggior candore d’avere esibito nel Platone , e in modo più particolare nella lettera decimosettima (I, 102-108), un « estratto » delle « ingegnosissime » ipotesi ragionate dal Vico nel Liber metaphysicus. Piuttosto è da parlare d’una tal quale mancanza di metodo e disciplina, affatto spiegabile, del resto, in chi, come il Cuoco, malgrado il forte ingegno, era temperamento non tanto di filosofo-filologo quanto, e sia pure nel significato migliore, di pubblicista, anzi di giornalista. E proprio in deficienze di natura giornalistica trovano ovvia spiegazione taluni difetti segnalati già dal Cantoni : che la critica storica, nel Platone , è, in genere, poco sicura ; ch’è sommamente antistorico, e quindi antivichiano, porre in bocca a un Archita, a un Platone e ad altri personaggi dell’antichità spiegazioni storiche ispirate a idee del secolo decimottavo ; che anche nel Platone il Vico è a volte citato alla pari col Filangieri e col Pagano ; che, al tempo stesso che vi si accettano idee importanti del Nostro, vi si mostra quasi paura di toglierne dalla Scienza nuova altre che con quelle sono in rapporto più o meno stretto ; che, per esempio, laddove talora il Cuoco concepisce