Bibliografia Vichiana I
501
HUMBOLDT
l’essenza vivente delle lingue», essendo «lo spezzettamento in parole e regole il morto artificio dell’analisi scientifica»;e che il linguaggio, lungi dall’essere qualcosa di foggiato pel bisogno della comunicazione esterna, è nato, invece, dal bisogno. tutto interiore, di conoscere e procacciarsi un’intuizione delle cose; e che, anche nei suoi inizi, « esso è interamente umano, e si estende senza intenzione a tutti gli oggetti di percezione sensibile edi elaborazione interna»; e che «le parole sgorgano spontanee dal petto senza costrizione e senza intenzione »: e che «non v’ha in nessun deserto nessun’orda nomade che non conosca già i suoi canti », dal momento che « l’essere umano, come specie zoologica, è creatura cantante, la quale ai toni congiunge i pensieri » ; e che la forma interna del linguaggio «non è il concetto logico né il suono fisso, ma la veduta soggettiva, che 1’ uomo si fa delle cose, il prodotto della fantasia, l’individualizzamento del concetto»; — e che in quell’opera di sintesi, con la quale la forma interna del linguaggio si congiunge col suono fisso, «il linguaggio, più che in altra sua parte, ricorda, nei modi più profondi e inesplicabili del suo procedere, l’arte », in quanto «anche il pittore e lo scultore sposano l’idea alla materia»; quando lo Humboldt scriveva codeste cose s’avvedeva di riecheggiare concetti sparsi nella Scienza nuova ? E quando, pure paragonando, come s’è visto, il linguaggio alle arti figurative, non giungeva tuttavia a identificare il linguaggio, la scrittura, la poesia e ogni altra forma d’arte, s’avvedeva di restare ancora indietro ai profetici aforismi di Giambattista Vico ? A codesta seconda domanda si può rispondere sicuramente in senso negativo, giacché è ovvio che, se si fosse avveduto di codesta sua manchevolezza, lo Humboldt avrebbe dato l’ultimo passo necessario a cogliere la natura vera del linguaggio. Incerta, per contrario, deve restare la risposta alla prima domanda, che è naturalmente da cangiare nell’altra: se, per avventura, egli avesse letto la Scienza nuova e ne avesse tratto profitto. Che nel 1801 ignorasse ancora 1’ esistenza di quel libro e di chi lo aveva scritto, s’è veduto sopra a proposito del Wolf (v. p. 396). Ma va pure soggiunto che il nome del filosofo napoletano, ascoltato da lui per la prima volta in quell’anno, venne poi ripetuto dallo Humboldt in una lettera. Vedere la dissertazione citata nel testo, seconda edizione a cura di A. F. Polt (Berlino, 1880), pp. 25, 54-56, 73-74, 79, 105-18: nonché Guil-