Bitef

borghesi e forse meglio definibili come centri di propaganda e di imposizione dell ’ » ordine « che simile a un mito о un intreccio di mitici attraversa il »corpo«). Cioè, la ricerca in un terreno poco battuto dalla nostra produzione teatrale dì una »diversità« oscillante tra il vittimismo angosciato e, poi subito, la protesta. Senza un’idea precisa di cosa costruire ma, in cambio, di cosa contrastare e possìbilmente distruggere. Con lo scopo di mediare, ovvero di mettere d’accordo il teatro (piccolo mass-media) e l’eversività dei giovani tra la morte degli Anni Sessanta troppo carichi di speranza, e la nascita degli Anni Settanta troppo carichi di realtà. Un’impresa quasi disperata. O, almeno, parziale. Il pìccolo mass-media può avere delle brillanti intuizioni ma non regge alla distanza. Si allinea. E cosi si è allineato su un nuovo conformismo. La celebrazione della » diversità « come ultima spiaggia. Prima un limbo e, quindi, una specie di purgatorio. La neutralità о la penitenza. Per non guardare l’inferno e per consolarsi di una condizione di frontiera о di stallo (tutti i giovani in »lista dì attesa«). La » diversità « о i » diversi « sono diventati l’ultimo alibi. Specchiarsi in loro, nelle sale ufficiali о in quelle della cosiddetta avanguardia, per molto tempo è sembrato un esercizio sufficiente a rimettere le lancette dell’orologio al passo con i tempi. Periini afferma il contrario. Il suo »Risveglio di primavera «, ancora prima di analizzarne le premesse e i risultati, arriva soverchiato da un’impossibilità. La » diversità « о i »diversi«, rubati al repertorio о rilanciati in questi pochi testi nuovi esistenti, presentati come eroi о come non eroi, si nutrivano di fatti e di varie istanze ma soprattutto di astrazione. Troppa bellezza, troppa inquietudine, troppa sofferenza, troppa contestazione struggente. L’inganno dell’interpretazione artistica, culturale, aveva trovato altra materia da consumare per durare. Perciò, più che del » Risveglio « di Wedekind rivistato si deve parlare del » risveglio « (con la minuscola) di Pedini. Perché Wedekind non può più essere un cuscino dove appoggiare la testa, magari per dormire invece che sognare; о un cuscino da usane nelle battaglie di budoir о di chambre à coucher. Ossia, non può servire a sventolare una ideologia individualistica e anarcoide e a scegliere poi sulla scena eroi che cercano l’applauso con il fascino della loro arrogante » diversità«, il culto nuovo della borghesia. Pedini usa Wedekind, sequestrandolo. In un magazzino della periferia di Roma, ampio e solenne come una cattedrale. Per ricavarne un altro dei suoi tunnel, senza personaggi sui quali intenerirsi о nei quali identificarsi sentendo il brivido di uscire per qualche momento da se stessi. Lo usa e lo tradisce rispetto sia al testo originale sia alle riletture troppo sofisticate. Dentro il tunnel, si svolge un rito claustrofobico che non ha nulla da dimostrare, salvo un annaspare e un parlare privi di pretese e di eroi. Le figure del dramma sono tutte sullo stesso piano. Urtate dagli oggetti scenici, grandi о grandissimi, che occupano solo a tratti lo spazio. La lotta con la famiglia о con i professori, che aveva tanto interessato direttamente о indirettamente a cavallo tra i Sessanta e i Settanta, è il segno di uno smarrimento collettivo che non consente fughe о spiragli.

I »nemici« sono evidenti, cosi pure gli innocenti e i carnefici. Ma c'è, violento, un ambiente che domina e prolunga assurde, previste, inevitabili risse. Е' una constatazione. Desolata. Data, però, al di fuori di ogni esaltazione o, viceversa, di ogni appello al cimpatimento. Pedini, forse, l’ha raggiunta in virtù di un itinerario improvvisato, casuale, frutto di un rapporto con la pagina che si spezza durante le prove e di una interpertazione sempre in crisi, spesso velleitaria, talvolta molto ambiziosa e promettente (lo spettacolo doveva essere dedicato, all’inizio, ai bambinacci di Wedekind: da »Mine-Haha« appunto al »Risveglio di primavera«). Ma è pur un metodo di lavoro che recupera citazioni e tenta, esplicita, la carta della mescolanza tra il naturalismo (la rissa) e il surrealismo (l’immaginazione chiusa nel tunnel) E ’ nell’insieme un gioco di trucchi messi in vista per sottolineare una specie di resa del teatro di fronte a una realtà che scappa da tutte le parti. L’esperienza del cinema il film »Hotel des Palmes« ha accentuato una caratteristica di Pedini, quella di guardare e di rappresentare per sequenze, tagliandole come al montaggio in moviola Per cui, »Il risveglio« si snoda attraverso lunghi e brevi sequenze in una ininterrotta corsa da un punto all’altro del testo (e dello spazio, il magazzino). Senza via d’uscita. Senza sfoghi concreti, se non improvvisi scontri urlati e raffiche di tamburi. Tutti sequestrati. La celebrazione della »diversità« si è transformata in un incubo. Irritante. Persecutorio. Un’utopia avvelenata. (Italo Moscati)