L'artiglieria all'assedio di Padova nel 1509

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rifugiatisi in Venezia col bestiame e le provvigioni che si affrettavano ora verso i loro campi; molti patrizi all’incontro levato l’assedio tornavano a Venezia. Vide atterrati i ponti di Noventa e dei Graizi c gran rovina di case al Portello. Si soffriva carestia di pane; i molini galleggianti stentavano a macinare. In più modi gli assediami avevano cercato di tor l’acqua a Padova: coll’ostruire la presa delle Brentclle, coll’immettere il Bacchigliene nel canale di Battaglia, col deviare il fiume stesso dal suo corso mediante arginature a Longare. In castello si adoperavano molini a mano « menati da presoni tedeschi, tra i quali frati et preti». Tolti il 26 agosto gli ostacoli che chiudevano l’imboccatura della rosta a Limena, ossia i sei burchi affondati carichi di pietre; rotta a colpi di cannone il 31 dello stesso mese la palafitta che deviava al Bassanello il Bacchigliene verso Battaglia, l’acqua cominciò a fluire più abbondantemente, crebbe di un piede e mezzo e i molini giravano; ma soltanto il 16 ottobre cresciuta nel Piovego di 5 piedi (metri 1.735) permetteva alle barche di arrivare fino al Portello tirando l’alzaia, nè più si pativa di macinato. Alla Beata Piena vedevansi le grate in terra dove alloggiavano i Tedeschi ('); più presso la città alla riva del fiume i graticci fortemente tessuti di vinchi per stabilirvi le batterie e i gabbioni che le mascheravano, e le vie subterranee (trincee) e le cave dove, protetti da una massicciata di terra, stavano a riparo gli artiglieri e i magazzini delle polveri ( 2 ). Sulle mura erano ancora puntate le artiglierie nostre « maxime quelle colubrine (di Sigismondo, forse) le bote le travano fino alla Bià Lena poco lontan dov’ era 1’ imperator » ( 3 ).

(1) Simili per quanto sembra ai gourbi usati ancora in tempi a noi vicini dai Francesi. (2) Hostibus progressis animadversum est eos sub terra tabernacula habuisse , ut tormentorum ex oppido verberationes evitarent». P. Bembo, op. cit.. pag. 334. (3) Non c ben precisato il luogo, dove sorgeva questo convento di monache mandate a Vicenza dall’imperatore quando vi prese alloggio. Chi dice a i/ 4 di miglio dalle mura, chi a 1 / 2 miglio presso FArcella. Certo distava meno d’un chilometro. Sanuto vi andò a piedi dopo pranzo la domenica 7 ottobre, « Poi disnar andamo fuori di Coaiunga a piedi fino alla Bià Lena». Il Cordo (Canto 111. pag. 52, ott. VII) parla di « duo gran colubrine ». che bassi tutti nei lor fossi stavano quando ver loro queste disserravano». E più avanti (Canto VI, p. 112, ott. XII). dove si parla delle vis'te che i Padovani sciolti dell’assedio facevano festosamente agli accampamenti cesarei, dice: così tutti quei fossi visitavano che sotto terra forte eran cavati ; insieme altri se mostran le mine che ivi facean le gran colubrine Queste colubrine, tanto ammirate cosi per la finitezza del lavoro come per la precisione e la potenza del tiro, sembra fossero quelle di Sigismondo. A principio del secolo scorso erano ancora visibili all’Arcella le impronte dei proiettili: «dei colpi di cannone se ne contano alla permanente impressione ottanta». ( Orazione Panegirica pel Padovano Santuario volgarmente detto I'Arcella del C. P. M. Pier Giuseppe Casser : Padova. 1814, pag. 30, nota 19).