Bibliografia Vichiana I

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VINDICIAE

gorio Armeno, ricevuta da Lipsia l’intera annata 1727 degli Acta, la espose in vendita. La noterella fu letta allora da molti « curiosi », che ne discorsero col canonico Roberto Luigi Sostegni, il quale, fido amico del Vico (cfr. parte seconda, sezione prima, capitolo secondo, numero 9), gliela pose sotto gli occhi. L’ipersensibile e quasi morboso amor proprio del filosofo, la sua impetuosa collericità e 1’ essere stato, dalla comparsa dei Diritto universale in poi, codesto amor proprio accentuato e codesta tendenza collerica inasprita da ogni sorta di delusioni e dolori, facevano già prevedere che in lui quella lettura avrebbe provocato, come provocò, un’ esplosione. Tanto più che proprio allora il suo primogenito Ignazio (1706-1737), fonte già per lui di amarezze, s’accingeva a contrarre, contro la volontà paterna, un matrimonio economicamente e moralmente rovinoso ; e, d’altra parte, egli, Vico, vittima tutta la sua vita di cento malattie, era tormentato in quel momento anche da un’« ulcera gangrenosa» formataglisi nella gola, per curare la quale era stato costretto ad « abbandonarsi al pericoloso rimedio de’ fumi del cinabro, il qual anco ne’ giovani, se per disgrazia tocca i nervi, porta 1’ apoplessia » ( Opp ., V, 69). In codeste condizioni di spirito e di corpo, non poteva non accadere che quel non grave infortunio letterario, da accogliere con un silenzio sprezzante, fungesse invece da scintilla caduta in una polveriera, assumendo nella fantasia accesa del Nostro le proporzioni d’un ingiuria così atroce da meritare, immediata e pubblica, la punizione più esemplare. La conseguenza è ovvia. Proprio perché lavorate nel parossismo di tanta collera, le Vindiciae potevano contenere, sì, qualche pagina o periodo felice per esempio, sotto 1’ aspetto filosofico, la notevole digressione sul riso {Opp., Ili, capovv. 550 • 60) e, sotto quello artistico, le parole commoventi con cui l’autore dipinge se medesimo quale uomo « qui totam vitam peregit ut coluerit omnes, iuverit multos, laeserit neminem » e, ciò non ostante, bersagliato sempre dalla fortuna (ibid., capov. 574); ma dovevano riuscirgli, nell’insieme, lunghe, tediose, affannose, conteste di continue ripetizioni, qua e là, poco vichianamente, anguste, sovente cavillose, sempre contumeliose e, naturalmente, a causa della troppo stridente sproporzione tra quel gran fuoco e la parva favilla che lo aveva acceso, tanto più grottesche in quanto assai elevata è, anche in questo scritto, la solennità