Il Molise dalle origini ai nostri giorni

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* nare colà, e marciò lungo le falde del monte Liburno (55) verso i “ mentovati luoghi. Arrivato a Gerunio, eh’ è dugento stadi distante da “ Luceria (56), procurò dapprima con buone parole di farsi amici gli “ abitanti, ed impegnò loro la fede ; ma non gli dando retta nessuno, “ prese ad assediarla. Espugnatala in breve tempo, ne uccise gli abitanti, ** ma la maggior parte delle case e le mura lasciò intatte, volendosene “ servire por granai quando svernerebbe „. Caio Mario console, intanto, avendo ricevuto l’esercito da Fabio, sogni a distanza il numida, quasi pedinandolo, e “ giunto alla rocca che giace “ sovra la campagna larinate, e chiamasi Galena, (57) vi pose il campo, “ pronto in ogni modo ad affrontarsi coi nemici. Annibaie, veggendo che “ gli avversari appressavansi, lasciò foraggiare la terza parte dell’ eser“ cito, e colle altre due andò ad incontrar i nemici.... „ (58). Questa scaramuccia, seguita nell’agro di Casacalenda, preludiò alla battaglia che si svolse nell’agro larinate, la cui narrazione è appena abbozzata da Tito Livio, che s’indugia invece sullo rivalità dei comandanti romani. Il dittatore essendo a Roma, l’esercito stanziato a Larino era sotto il comando di Minucio, Maestro dei Cavalieri, uomo di temperamento acceso e risoluto. Livio par voglia mettere in dubbio la giornata, perchè esce in queste curiose parole : “ Alcuni anche hanno scritto, che s’era venuto a giornata “ campale ; che al primo scontro il Cartaginese era stato sbaragliato o “ respinto nei suoi alloggiamenti ; che indi fatta all’improvviso una impo“ tuosa sortita, era passato il terrore alla parte dei Romani ; che infine, “ sopraggiunto il sannite Numerio Decimo, s’era rimessa la battaglia ; “ che questi, primo per sangue e per ricchezze non solamente in Bo“ viano, ond erà, ma in tutto il Sannio, conducendo al campo per ordino “ del dittatore otto mila fanti e cinquecento cavalli, essendosi mostrato “ alle spallo di Annibaie, presentò aU’una e all’altra parte l’apparenza di “ un nuovo soccorso, che venisse da Roma insieme con Fabio ; che “ Annibaio temendo di qualche insidia, aveva richiamato i suoi ; che i “ Romani, avendolo inseguito, s’erano impadroniti in quel giorno stesso, “ coll’aiuto del Sannite, di due castelli ; eh'erano rimasti morti seimila “ nemici, o dei Romani circa cinquemila. Puro, in perdita quasi tanto “ eguale, s era andata a Roma la fama di una insigne vittoria con lettere “ ancor più vanagloriose del maestro dei cavalieri. „ (59) L’anno successivo Annibaie inflisse a Roma la terribile disfatta di Canne : più grave assai di quella del Trasimeno. Roma sarebbe stata presa dal Numida, se non avesse conservata ancora tanta saldezza di ordinamenti e di propositi da spedire dovunque soccorsi e milizie, e dovunque organizzare la resistenza moltiplicando sé stessa. Si dice che furono gli ozi di Capua ad impedire l'invasione di Roma. È un luogo comune, questo, che si ripete da secoli ; mentre, osserva bene il Montesquieu, ogni città poteva essere una Capua per milizie mercenarie, non disciplinate nè sorrette da un idealo, arricchite dalle vittorie o dai profitti della dominazione (60).