Il Molise dalle origini ai nostri giorni

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eoi Eiario Sforza, coi Pignatelli, aveva dato è vero uno splendido contributo di eroismo alla causa della libertà; ma la casta nel suo complesso, la l’olla nobilesca, era stata risolutamente all’opposizione, scavando tra sè e il popolo un' irreparabile abisso. I nobili, fossilizzati nelle tradizioni dei vecchi Templari, ammettevano come per graziosa concessione che la feudalità dei tempi remoti non fosse più compatibile co’ nuovi; non giungevano però alla tesi radicale che fosse possibile abbatterla o sostituirla con nuove forme di reggimento sociale. Scherzato ? La feudalità era un regime cho vantava il millennio ; il diritto divino aveva divisa l’umanità in vassalli e in signori: si poteva attenuare la diseguaglianza, non eliminarla. Il diritto divino non si prescrive. Con tali ideo per la testa, o con le non poche preoccupazioni por l’avvenire, ai tempo della prima Restaurazione la folla amorfa dei baroni, marchesi, duchi e principi di ceppi ultra secolari, era bramosa più che mai di essere ammessa a Corte e di poterla frequentare. Per quanto ammiseriti dallo contese giudiziario, essi non cessavano d’ essere schiavi delle consuetudini antiche della classe. Le strettezze economiche fra cui si dibattevano, acuivano negli animi il bisogno di dissimularle; onde lo sforzo di conservare l’antico prestigio malgrado i mezzi divenuti inadeguati. I loro sguardi erano perciò rivolti al trono, corno quelli del naufrago alla tavola di salvezza. V’erano tanti posti con lauto appannaggio nelle amministrazioni statali, nei ministeri, nella diplomazia, da poterne serbare parecchi pei discendenti dei Crociati. II Ro ora un buontempone ed un uomo di cuore. La regina lo dominava, ma a sua volta era dominata dall’Acton. L’Acton: ecco l’astro rutilante da cui dipendeva la pioggia e il bel tempo, ecco l’uomo alla cui onnipotenza si rivolgevano gli ossequi e gli omaggi dei postulanti blasonati. Immaginarsi l’impressione di pena e di terrore che dovè faro a costoro il proclama di Schoenbrun (27 dicembre 1805) col quale Napoleone partecipava ai soldati : “ La casa di Napoli ha cessato di regnare; “ la sua esistenza è incompatibile con la tranquillità dell’ Europa o con “ l'onore della mia corona Si videro perduti. Tutti sapevano che ai Borboni mancava Tardivo di accorrere alla difesa delle frontiere, del pari che T animo di attendere l’invasione a piè fermo. La rituale salvezza dei Borboni era la fuga. Cosi avevano fatto nel 1799, così avrebbero fatto allora. Questa volta non era la Francia plebea che mandava Charapionnet co’ sanculotti : era Napoleone l’arbitro del mondo che spediva a Napoli il fratello, alla testa d’un esercito fresco ancora dello glorie imperiture di Dego, di Lodi e di Marengo. L'accoglienza eh’ ebbe il Bonaparto a Napoli fu modesta o come improntata a benevola aspettazione. L’entusiasmo della folla non vibrò; elio anzi la musa popolesca e la satira piazzaiola si manifestarono borboniche nell’anima, e jattanti fino alla guasconata. Un epigramma vaticinava :