Il Molise dalle origini ai nostri giorni

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comodamente in meno di mezza giornata ; od in cinque giorni si compie la gita di andata e ritorno da Lecco a Torino, con una breve sosta sulle rive del Po. La vita oggi occorre dirlo ? è sconvolta da un turbinio di nuovo forzo, di nuove attività, di nuove applicazioni. Non è più la stasi di un tempo ; ma piuttosto un moto tormentoso, rapido, incessante, che non conosce tregua, poiché il fatto d’oggi supera l’ideazione d’ieri, e lo audacie dcH’ingegDO umano sorpassano ogni misurata previsione. Allora, invece, una patriarcale serenità contrassegnava la vita. Di tanto in tanto la monotonia de’ nostri piccoli paesi veniva interrotta da qualche evento di grido, da qualche grossa festività ecclesiastica, da qualche importanto partita di caccia, o da allegre campagnato ; ed erano svaghi che facevano epoca, baldorie che stabilivano il primato della voracità fra gli intei-yenuti, e di cui nella tarda età si narravano lo prodezze e le fortune che i! tempo aveva rese leggendarie. Quanti Tartarin nelle nostre piccole Tarascona ! L’ arrivo d’ una comitiva di comici, ad esempio, ecco un evento da interessare ed assorbire del tutto la vita locale. Non era cosa di tutti i giorni, che anzi passavano anni od anni senzo che uno straccio di compagnia si presentasse sulla piazza, I filodrammatici, nella circostanza, perdevano addirittura la pace. L’andito dol palazzo baronale, un sotterraneo inabitato, qualche vecchia scuderia fuori uso, erano di solito nell’ occasiono i luoghi prescelti a teatro. Un piancito in rilievo poi palcoscenico, quattro tavole per le quinte di prammatica, una parodia di telone da’ tardi e saltuari movimenti, otto o dicci lumi ad olio alla ribalta e ne’ luoghi più opportuni, quaranta o cinquanta sedie racimolate nello case primario, bastavano decorosamente all’ impianto del Massimo. Una breve accolta di dilettanti, con flauti e violini appoggiati da mi contrabbasso —il pachiderma delle orchestre—appagava l’esigenze musicali del pubblico, Che si voleva di più? Por ì’ apertura del teatro era necessario soddisfare una formalità legale non molto seria, invero, ma lunghetta anzi che no: occorreva, cioè, chiedere od ottenere l’autorizzazione del Sindaco, convalidata dal Giudico Regio, o munita dell’approvazione del Sottintendente o dellTntendento. Lo prelodate Autorità, dopo mature o profonde indagini sul repertorio esibito, sulla portata degli argomenti e 1’ eventuale -salutazione politica che il pubblico locale avesse a dare, concedeva il permesso. La prima fila degli spettatori, secondo le buono usanze ortodosse, doveva essere di sole tre sedie o poltrone, destinate ad accogliere il peso privilegiato del Giudice con a destra il Sindaco ed a sinistra il Primo Eletto. Tali posti trattava de’ rappresentanti dei potere costituito ! I comici erano obbietto di molte cortesie da parte di tutti. Narrando con istudiata esagerazione le festose accoglienze ricevute altrove, sapevano