Il Molise dalle origini ai nostri giorni

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Cibi elementari occorrono, vivande di grande semplicità: vai quanto dire di facile digestione. Gli studii, le occupazioni, lo preoccupazioni, il valore del tempo, hanno uccisa la cucina. I medici della nostra epoca sono stati i necrofori spietati, i ributtanti vespilloni di quest’arto nobilissima, che fu missione nel mondo romano imperiale, ed ora ascesa a progresso meraviglioso nella Francia del secolo XVIII. In questi nostri tempi di stazioni climatiche, d’istituti kincsoterapici, di bagni di sole, di bagni di mare, di applicazioni di fanghi, o di sanatori ; in questi nostri tempi, in cui fiorisco l’artriLismo e non d'altro si parla se non di difetto di ricambio materiale, il pasto è divenuto una mera necessità della vita, ed ha perduto il carattere di voluttà degustatola seguita dalle digestioni sapienti. Brillat-Savarin . il codificatore della gastronomia, deve esserne supremamente disgustato nello sfere dell’Olimpo : egli che, con la “ Fisiologia del Gusto „ riteneva di aver superata la gloria di Molière! Il culto della cucina ora in pieno vigore ai tempi dei quali discorriamo ;ed il pranzo —un buon pranzo costituiva può dirsi il pensiero predominante della giornata. Le feste vittuali, lo baldorie, le gozzoviglio si succedevano frequentemente, traendosene motivo da ogni lieta ricorrenza. Alitava in quel vecchio mondo, cosi intellettualmente limitato, “ cicloplico „ direbbe il Vico e cosi crasso, un’aria omerica, che a considerarlo c’ ò da restare sbalorditi. Omerica, senza dubbio, per quantità la alimentazione ; e 1’ adagio che “ a tavola non s’invecchia „ non aveva avuto forse in alcun tempo un’ osservanza sistematica come allora. Non si mangiava, non si beveva; sì sacrificava addirittura al genio del palato od a Bacco nume supremo. I mani di Lucullo e degli epuloni potevano fremere di gioia al! eco gioconda di quelle crapule periodiche, di quei simposi pantagruelici. Il pasto, insomma, era pei nostri avi robusti la manifestazione collettiva più saliente della gioia del vivere. Beati loro ! La cantina diletto, specialità, impero d’ uno dei maschi, o sovente del prete accoglieva le più festose brigate di amici, specialmente nei periodi classici dei travasi, e cioè nel dicembre, nel marzo e nel giugno. Diamine ! Bisognava pure far assaggiare il vin nuovo a Natale agli esperti degustatori, perchè poi potessero giudicare al principio della primavera come avesse trascorso l’inverno, e più tardi se si fosso raffinato a dovere col caldo. Amici clamorosi e gaudenti, che ammazzavano il tempo bevendo o mangiando, mangiando e bevendo da epicurei. Il giocondo oraziano “ carpe diem „ era segnacolo in vessillo di quella società gaia e massiccia : la gozzoviglia d’oggi aguzzava la voglia per quella del domani, e cosi andava fissando un turno, che occorreva svolgere od esaurire. Dopo tutto, ora un dovere di cortesia e di reciprocità. L’uccisione del maiale l’appetitoso animale dai tredici sapori come argutamente lo definisco il popolino forniva altra occasiono a più intimi e lieti desinari: costituiva, anzi, la festa parentale por eccellenza.