Il Molise dalle origini ai nostri giorni

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propria, e di raccordi con Io provinole finitime, restava quasi isolata, o nell’ isolamento misera ed arretrata. Sbocchi al bestiame, alle merci, ed alle comuni derrate erano le suo fiere di Campobasso, Riccia , Boiano, Sepino, Agnono, Isernia e Larino, la qualo ultima primeggiava su tutto, o per numero ed importanza di affari veniva immediatamente dopo quello di Lanciano e di Foggia. Nei centri minori si tenevano pure delle piccolo fiere; e, in taluno, dei mercati settimanali, tutti però di scarsa efficienza limitandosi al concorso meramente locale. Le manifattore casalinghe o le piccolo industrio locali sopperivano ai bisogni generali; o l’industria di trasporto e di collocamento dolio merci veniva esercitata in modo esclusivo dai “ valicali „ e dagli “ spezzini „ nonché dai girovaghi. Napoli, la capitale dove ogni famiglia provinciale di qualche considerazione aveva uno dei suoi o dedito alla bolla vita o ad alcuna professione liberalo, Napoli provvedeva ai bisogni voluttuari, alle primizie del mercato industriale, alle esigenze superiori della moda. L’usanza comune a tutte le classi del vestire di lana, conferiva a questo prodotto uno straordinario consumo. La lana assurgeva al primato su tutto lo materie grezzo, e 1’ industria annentizia era oltremodo diffusa, fiorente od’ alto reddito. Il Longano attenendosi alle statistiche del 1786 accertava nel Molise (allora non comprensivo della zona pugliese del Circondario di Larino e della zona dell’ alto Volturno ) la presenza di 250.000 pecore (oltre 2000 por Comune); e il Del Re, dallo fide del 1834 (dopo lo annessioni territoriali del 1811), ne rilevava il numero in 256.000. Una produzione lanina di più che 250 tonnellate (nella duplice tosatura primaverile ed autunnale) poteva sopperire al consumo locale, ma non permetteva certo l’esportazione nelle provincio contigue. La lana veniva lavata, scardata, filata in tutte le famiglie , tinta poi nei modesti opifici che fiorivano in alcuni dei nostri paesi, o trasformata noi diversi indumenti necessari al vestire. Erano uose, calze, abiti, mantelli, coperte, ecc. di fattura alquanto grossolana ; ma solida o genuina e molto resistente all’opera edace del tempo. Si calcolava che tale produzione. nel complesso dello sue fasi, richiedesse il lavoro d'un intero anno di 350 persone (447): riteniamo, peraltro, che tale valutazione fosso erronea in meno. Si esercitava, inoltre, sebbene in proporzioni minori, la produzione, il filamento e la tessitura della canapa e del lino. Le industrie d'altri luoghi facevano capolino dovunque, periodicamente, mercè gli spezzini napoletani, di Terra di Lavoro (o “ lavorati! „), o pugliesi, che diffondevano nei nostri Comuni stoffe e manufatti o estranei del tutto alla produzione locale o in questa deficienti: stoffe o manufatti di cui facevasi largo uso dalle classi più abbienti un po’ per differenziarsi dal resto della popolazione, un po’ per la vanità dì portare roba forestiera, la quale paro sempre miglioro dell’ indigena. Vecchio vizio italico , che anche oggi imperversa, e fa imprimere marche inglesi od americano nelle paglie da uomo che si lavorano a Firenze !