La critica e l'arte di Leonardo da Vinci

104 PARTE SECONDA

rimasti superficiali sullo spirito del Vasari, sì che nemmeno affiorano quando egli scrive la vita di Leonardo.

Anche il Giovio sembra abbia avuto un'intuizione felice, se pure di breve portata, una sol volta: quando cioè spiega col moto l’arte di Leonardo, a proposito del cavallo di Francesco Sforza: «in cuius vehementer incitati ac anhelantis habitu et statuariae artis et rerum naturae eruditio summa deprehenditur » (1).

All’arte di Leonardo, che cita d’altronde con gran lode, e cui era amico, sembra voglia riferirsi Girolamo Cardano, quando parla della luce. « Quid enim aliud est pictura quam imitatio affectuum, quae sunt in corporibus ad luminis comparationem ex solo plano? nam et si animi etiam dispositiones ex pictura liceat coniectari, non tamen aliter quam ut per corporeos affectus exprimuntur ». Quivi, sia pure indirettamente, la psicologia pittorica viene per la prima volta ridotta a una questione di luce e d'ombra. Nè basta; la preferenza del Cardano per la veduta da lontano, anzi che da vicino, e il suo timore del bianco — « cavendum est ne candido multum in picturis utaris; est enim velut illarum venenum. Nam splendore suo venustatem primo, ac gravitatem quandam ab artis opere aufert, colores autem reliquos obscurat, et umbras rerum vitiat » — (2): tutto sembra voglia confermare che nel definir l’arte egli abbia tenuto presente quella di Leonardo.

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Tuttavia, se la critica del Cinquecento relativa a Leonardo si fosse limitata agli scrittori citati sin qui, converrebbe pure ammettere ch’essa non seppe indicare i princìpi dello stile di

(1) Bossi, op. cit. p. 20. (2) HieroNIMI CARDANI, De Subtilitate. Libri XXI, Lugduni, 1551. L. IV,

De Luce et Lumine, pag. 185 e 186.