La critica e l'arte di Leonardo da Vinci

116 PARTE SECONDA

torno alle figure » (1). Leonardo e Raffaello appunto usarono : «i panni con le falde ne tanto rare ò grosse..., ne tanto spesse et sottili » (2). Occorre, e qui il buon Lomazzo diviene poeta, che « una piega nasca dall'altra; come esce l’uno dall'altro ramo, overo onda da onda; in modo che non vi sia parte alcuna del panno, nella quale non si veggiano quasi tutti 1 medesimi moti. Ora vogliono questi moti essere moderati, facili et liberi, senza interrompimenti, et che mostrino più tosto gratia, et facilità, che maraviglia d’affettato studio, et gran fatica ». I panni di lana fini « si lasciano convenevolmente muovere dall'aria, et reggere dalle membra humane per loro commodo ; et così facendo bellissime, et temperate falde, seguono il nudo benissimo, et ancora vanno leggiadra, et vagamente scherzando intorno a’ lumbi » (3). A chi fosse distratto, è ricordato esplicitamente che, nello scrivere, il Lomazzo sogna il panneggio di Leonardo e di Raffaello. E come altra volta egli l’ha preferito al sistema di Michelangelo, così in questa occasione egli l’oppone al sistema dei Veneziani, i quali hanno cavato un « modo di panneggiare, et far falde molto rimoto, et ripugnante à i detti moti che seguirono Raffaello, et gl’altri». I moti veneziani « si dimandono volti, et traversi, et sono proprij de’ damaschi, rasi, ormesini, et simili, ne’ quali si veggono le falde traversate, et rotte frà di loro, per le diverse forze del drappo... Il quale { moto ] veramente non vorrebbe essere osservato in altro loco che ne’ ritratti dove pare che non solamente bene stia; ma quasi che necessariamente vi si richiegga » (4).

E qui il critico perde le staffe: la sua mente, che troppo spesso ‘si svuota nell’astrazione simbolica, corre ai ripari del

(1) Trattato, p. 456. (2) Trattato, p. 455. (3) Trattato, p. i82:3. (4) Trattato, p. 183-4.