La critica e l'arte di Leonardo da Vinci

118 PARTE SECONDA

l’aspalto, per dar il lucido è i capelli biondi, e castanei; e parimenti il falzalo finissimo mischiato con la lacca. Le quali cose tutte soleva usar molto Leonardo ». E notate ch'egli suggerisce, sull'esempio di Leonardo, quei colori trasparenti che non sono colore. Ma se si tratta di vero colore, di scintillio di tinte rasate, ecco egli s'adombra: «i medesimi colori |trasparenti | si usano ancora per dar il lustro, e la vivacità al raso, et all'ormesino alterati de i loro colori naturali sopra le abbozzature. Laquale usanza è passata tanto inanzi, che senza riguardo alcuno de i precetti de l’arte, attendendo solamente alla vaghezza, si usa non solamente nei drappi nominati di sopra, mà ancora ne i panni di falde contrarie, che non richiedono quella trasparenza o vivacità di seta... Onde si può dire che l’arte della pittura quanto al colorare sia corrotta » (1).

Ammette i cangianti, purchè usati con parsimonia, come da Raffaello, anzi li definisce « la somma, et ultima vaghezza e leggiadria alla pittura» (2); ma quando si ricorda della fobia dei riflessi cromatici, su cui tanto insiste Leonardo, ripudia le ombre rosse su panno giallo, e le morelle su bianco (3). Cangiantismo romano, sì; riflessi cromatici veneziani, no !

In fatto d’insensibilità cromatica, il Lomazzo va oltre Leonardo : non s'accorge delle ombre azzurre, anche se rammenta i passi vinciani che indicano la necessità di schiarire le forme lontane e di non distruggere con l'ombra il colore locale (4). Anzi, il Lomazzo contradice a tutti i sistemi escogitati per interpretare cromaticamente l’ambiente paesistico :

«I Germani et gl’altri più eccellenti in questa parte hanno fatto sempre le figure nel campo più oscuro, si come ne i

(1) Trattato, p. 197-198.

(2) Trattato, p. 198-200.

(3) Trattato, p. 196.

(4) Trattato, pagg. 244, 308, 300.

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