Bibliografia Vichiana I
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MANZONI
altresì col Cantù, col Labanca e segnatamente con Raffaele Masi da Atripalda (? • 1876), nominato dopo il 1860 preside del Liceo Beccaria di Milano. Del Napoli-Signorelli, per esempio, « stimava poco l’ingegno, assai poco gli studi » : lo credeva, anzi, « borbonico di cuore, liberale per isbaglio d’una corte accecata dall’odio che portava alla libertà». Tuttavia gli piaceva in lui l’indole affatto bonaria, « proclive alla vanità e facile al coraggio quando il pericolo era passato». Del Salii «pregiava, più degli studi, la franchezza dell’animo e l’arditezza de’ giudizi ». Ma i due a lui più cari erano il Lomonaco e il Cuoco, al quale era stato presentato appunto dal Lomonaco. Di quest’ultimo egli aveva riecheggiato nel terzo canto del quasi puerile Trionfo della libertà quello che egli stesso qualificava « energico e veramente vesuviano Rapporto al cittadino Carnot », non senza, T anno appresso, avere composto sulla Vita di Dante scritta dall’ esule un sonetto, pubblicato dal Lomonaco stesso nelle Vite mentovate sopra. E, parlando, tanti anni dopo, col Lomonaco iuniore, amava dire che quel suo antenato era « studiosissimo », uso a «pensare molto», quanto mai ricco di « studi storici e classici » e, insomma, « per tutti noi un dottore ». Circa poi il Cuoco, raccontava scherzosamente che «un altro napoletano », e forse il Lomonaco, «lo scaltriva a guardarsi dalle argomentazioni di costui, che (narrando, imitava il dialetto) tende un filo, poi un altro filo lontano, poi un altro, e T uomo, senza che se ne accorga, vi si trova impigliato ». Faceva « gran conto » dei suoi scritti politici, e in particolare del Saggio storico, « che era tra i libri che più aveva letti». Lo qualificava «suo maestro in politica », come colui dal quale aveva appreso che in Italia «la libertà non era possibile senza T unità, e che, per unire la nazione, bisognava anzitutto metter fuori gli stranieri». Riandava con la memoria gli anni —su per giù dal 1804 al 1806 —in cui il Cuoco e lui erano divenuti compagni quotidiani di passeggiata, non senza che, infervorati nel conversare, l’uno accompagnasse l’altro, l’altro riaccompagnasse l’uno, e così più volte, « e non c’ era verso di farla finita ». D’ altra parte, come il Manzoni, pure chiamandolo giocosamente « pigro, anzi pigrone », ammirava col maggiore entusiasmo il «vivissimo ingegno » che sfavillava non solo negli scritti ma ancora più nei discorsi dell’ esule molisano, così il Cuoco, che, a sua volta.