Bibliografia Vichiana I

467

JANNELLI

stesso vincolo che tra la fisica e le matematiche, la prima era stata scoperta dal Vico, la seconda, che proponeva di chiamare « istorosolia », da se medesimo. Comunque egli scrive (p. 19) il Vico « tanta via, esì aspra e selvaggia, solo e senza guida battette, tanti nuovi regni e nuove regioni scoprì, e nuovi stadi delle umane conoscenze precorse, che ben si può, anzi con ragione si dee dire : tanta gloria a lui nelle filologiche scienze doversi, quanta a Cartesio, a Galileo, a Newton, a Leibnizio, a Locke, nelle filosofiche giustissimamente tributiamo ». Parole, le quali, congiunte con altri passi del libro che sarebbe troppo lungo additare, mostrano chiaro che, alla guisa medesima dello Hamann (v. sopra p. 366), anche il Jannelli, lungi dal comprendere il carattere prevalentemente filosofico della Scienza nuova , la riteneva opera filologica. Né, in verità, egli si mostra sempre eguale in una molto lunga analisi (pp. 29-97) delle ragioni della scarsa o nessuna fortuna del capolavoro vichiano. Inesatto, anzi del tutto contrario al vero, che il Vico si servisse «d’ un linguaggio nuovo, di locuzioni insolite, di frasi sconosciute », di « voci indeterminate, di senso ambiguo e incerto, anzi dal volgar uso, dal comune pensamento lontanissime (p. 38). Contrario del pari al vero che nel Nostro « al difetto della determinazione delle parole si unisce pur la mancanza di nesso logico tra i pensieri » ; che il Vico, anziché disporre « le idee con ligame stretto e immediato, non ne palesa tutta la catena e l’ordine intero » ; che « trae lontanissime conseguenze, che niuno vede chiaramente discendere dalle premesse »; che « spesso esprime più i risultati dei suoi pensieri che i pensieri stessi » {ibidem). Felice, invece, l’osservazione che « tutte le verità nuove son oscure, e son nuove e oscure fintanto che divengan comuni e famigliari col lungo uso » (p. 43). Felicissima l’altra che, « nella formazione delle discipline e scienze umane », la natura «prima dia un presentimento, una divinazione di loro senza pruove, senza dimostrazioni, senza nesso logico, e che dipoi si vadan formando tali pruove, tali dimostrazioni, tal nesso logico »; e che il Vico, appunto perché scopritore d’una scienza nuova, «dovette assai più presentire e divinare che mostrare con evidenza e provar con rigore » (pp. 44-45). Còlto inoltre assai bene, che «le scienze nuove, di qualunque natura sieno, quando il lor tempo è venuto », « son ricevute con premura, sono accolte con fretta, son celebrate con gloria, son comunicate con rapidità »; e che, se tutto questo mancò alla Scienza nuova , la ragione è da riporre nel fatto che essa apparve « quando le scienze sperimentali, nuove, fresche, meravigliose, occupavano i dotti d’Europa » : ch’è press’a poco ciò che delle cause dell’insuccesso dell’opera sua scriveva il Vico medesimo ( Opp ., V, 212-18). Fantasioso, per contrario, diventa il Jannelli quando, nell’esporre in altra forma la medesima osservazione, comincia con l’asserire, esagerando concetti vichiani, che a ciascuna delle cinque età nelle quali egli ripartisce il cammino percorso dal genere umanoadolescenza, giovinezza, virilità robusta e operativa, virilità matura e riflessiva, vecchiezza è peculiare una scienza o gruppo di scienze; soggiunge che il secolo decimottavo rappresenta la virilità robusta e operativa, a cui sono peculiari le scienze fisico-matematiche; e conchiude che nessuna fortuna poteva arridere in quel secolo alla Scienza nuova, « che non alla virilità robusta e operativa, ma alla matura e riflessiva