Bibliografia Vichiana II

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MAZZINI ■ SPAVENTA

v. Critica romantica in Italia , pp. 216-17. Lo scritto del De Meis, a cui si allude, fu inserito nella Rivista bolognese del 1865, p. 205 : cfr. Croce, Una famiglia di patrioti , p. 262. Per un articolo sul Vico, che il Mazzini, esule in Inghilterra, si proponeva di scrivere, senza poi attuare il proposito, v. sopra p. 570. 5. B. Spaventa (e, per incidens, L. Palmieri ed E. Cessina). Dopo la catastrofe politica del 1848, si ripetè in qualche modo ciò ch’era accaduto mezzo secolo prima, dopo il fallimento della rivoluzione napoletana del 1799 (v. sopra p. 407). E, invero, anche questa volta gli esuli napoletani portarono nell’ltalia settentrionale, ma non più nella rintedescata Milano, bensì nella libera Torino, la filosofia del Vico ; di un Vico, per altro, rischiarato e ammodernato col pensiero dello Hegel e degli altri filosofi italiani e stranieri. Principali apostoli di codesto nuovo verbo, che mirava a una logica interna della realtà e della storia, redente dal materialismo e dall’astrattismo del secolo decimottavo, furono Francesco de Sanctis da Morra Irpina (1817-83) e Bertrando Spaventa da Bomba (1817-83), tutti due, come già colleglli nell’insegnamento privato a Napoli, così, finché il primo non fu chiamato a Zurigo, compagni di esilio nella capitale piemontese. E colà appunto - migliori frutti del nuovo metodo giunsero a piena maturità, prima ancora del felice mutamento del Sessanta, due libri pubblicati più tardi ; la Storia della letteratura italiana dell’uno, le lezioni sulla Filosofia italiana nelle sue relazioni con la filosofia europea dell’ altro. Naturalmente, il posto del primo è nel paragrafo quinto, tra gli storici della letteratura. Resta qui a discorrere del secondo. Quanto vichismo, e del migliore, fosse in lui, basterebbe a mostrare il fatto d’avere egli saputo schivare nel modo più perfetto tanto la « boria dei dotti » quanto la « boria delle nazioni » sia nel suo ricongiungere la storia del pensiero italiano, dal Rinascimento al Gallnppi, al Rosmini e al Gioberti, col moto generale del pensiero europeo, sia nel suo considerare quello talora, come nel caso del Bruno, del Campanella e per l’appunto del Vico, quale precorrimento di questo, e talaltra, come nel caso del Galluppi, del Rosmini e del Gioberti, quale serie di posizioni mentali, che, sotto l’apparenza di opposizione al movimento speculativo europeo, e in quella sua espressione più alta che fu 1’ hegelismo, rispondevano, in realtà, in forma storica, alle particolari condizioni della società italiana. Egli stesso teneva a ricordare d’avere cominciato a studiare il Nostro molto prima del 1847. Tuttavia di ciò che può avere detto di lui così nel convitto di Monlecassino, ove, ancora prete, cominciò la sua carriera d’insegnante (1838-40), come in Nepoli in quella scuola privata di filosofia che la polizia, su reclamo o, piuttosto, delazione di Luigi Palmieri,