Bibliografia Vichiana II

GIOBERTI ■ MAZZINI

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v Carattere e sviluppo della filosofia italiana, negli Scritti filosofici, edizione Gemile citata più oltre, pp. 115-52; nonché La filosofia italiana nei suoi rapporti con la filosofia europea, terza edizione parimente citata più oltre, pp. 160-89. Del Cantoni, G. B. Vico , pp. 373-80. Del De Sanctis, Letteratura italiana del secolo decimonono, edizione Croce, pp. 801-15. Del Croce è da vedere Del Gioberti filosofo, ne La Critica del 1942 (XL, 1-18) e ora nei Discorsi di varia filosofia, I, 73-96; nonché Storiografia italiana nel secolo decimonono, I, 116 e 151-52 (e cfr. 1, 19-20, 26, 159 165; 11, 60). Tenere presenti altresì Gentile, Rosmini e Gioberti citato, passim, G. A. Borgese, Critica ramantica in Italia citata più oltre, pp. 222, 228 e 230. 4. G. Mazzini. A sostegno della tesi che Giuseppe Mazzini (1805-72), a causa della sua forma mentis e della sua cultura, dovuta anche a studi su filosofi stranieri, tra cui lo Hegel, sarebbe, ancora meglio del Foscolo e del Tommaseo, penetrato nel pensiero del Vico, del quale, mentre si professava ammiratore e discepolo, raccomandava 10. studio anche pel rinnovamento della storia letteraria, il Borgese allega tre passi mazziniani. Nel primo, dopo essersi lamentato che il vuoto esistente nella filosofia non poteva non ripercuotersi nella critica letteraria, « ch’è la filosofia della letteratura », si osservava che, a colmare quel vuoto, valeva soltanto la filosofia della Scienza nuova. Nel secondo, nel raffrontare i repertori del Tiraboschi e degli altri eruditi della letteratura coi tentativi di ben altra storia letteraria dovuti al rinnovamento romantico, si poneva in rilievo che il « vincolo, che annoda in un popolo l’istituzioni e le lettere e i progressi della civiltà », era stato « indovinato, un secolo innanzi, dal nostro Vico ». E nel terzo si mostrava compiacimento pel fatto che molti andassero traendo il Nostro dall’oblio, a cui « le baie erudite e T inerzia degli animi » lo avevano condannato per circa un secolo. In verità, codesti passi, che non escono dal generico, non hanno l’importanza asserita dal Borgese. Comunque, non ostante l’ammirazione che, tanto qui quanto in altri punti delle sue opere, il grande patriota mostra pel Nostro, non si può al certo fare di lui un vichiano. Sin dai suoi tempi, Angelo Camillo de Meis scriveva che « le idee del Mazzini sono quelle di Voltaire, di Rousseau, di Condillac, del padre Soave » ; sono « non le idee del secolo decimonono ma del secolo decimottavo » ; non « idee italiane ma francesi » ; idee « che non hanno niente che vedere con la nostra vera tradizione filosofica, che è quella di Bruno e di Vico » : del che il De Meis s’appellava a chiunque s’intendesse di filosofia. Ragion per cui anche per il Mazzini, alla stessa guisa che per il Filangieri, il Pagano, l’Astore e, in genere, i patrioti napoletani del Novantanove, è da parlare non di vichismo genuino, ma di quello pseudovichismo più o meno gallicizzato o intellettualizzato di cui s’è discorso più volte. Del Mazzini vedere, negli indici dei nomi, sub « Vico », l’edizione nazionale delle Opere dovuta al compianto Mario Menghini. Del Borgese