Bibliografia Vichiana II

623

VILLARI

anale Villari (1827-1917), ingegno così poco speculativo, che, esulato nel 1849 da Napoli a Firenze, non tardò ad abbandonare l’indirizzo letterario-filosofico, ossia vichiano-hegeliano, del suo già maestro Francesco de Sanctis, lasciandosi prendere tutto da quello meramente erudito, sempre perdurante e prevalente in Toscana. Ma in questa sezione bisognava ricordarlo, dal momento che a farlo nominare in una bibliografia vichiana concorrono non già i suoi lavori storici, bensì Tessere stato anche lui trattatista del problema della filosofia della storia. E invero in Italia egli fu il primo, o uno dei primi, che dalla più che legittima negazione di codesta scienza logicamente incostruibile traesse la negazione affatto illogica dell’uso della filosofia nella storiografia, spacciando il metodo storico come '< positivo o sperimentale » o, secondo gli piaceva chiamarlo «galileiano», e venendo, per questo fatto medesimo, a gettare giù dagli altari il Vico, che gli storici italiani della prima metà del secolo decimonono veneravano loro nume indigete, e a sostituirgli Galileo. A ogni modo, al Nostro sono consacrate le pagine 19-29 dello studio Sull’origine e il progresso della filosofia della storia (Firenze, tipografia galileiana, 1854), in cui si cominciava a chiedere che la costruzione a priori di questa fosse « temperata alquanto da una ricerca a posteriori ». Si poteva quasi prevedere che codesto primo passo sarebbe stato seguito da altri sempre più lunghi e più rapidi ; e, in effetti, già nel 1866 il Villari pubblicava nel Politecnico di Milano, e ristampava poi nei Saggi di critica , di storia e di politica (Firenze, 1868), l’altro saggio su La filosofia positiva e il metodo storico , nel quale il distacco dall’ idealismo e, per esso, dal vichismo divenne ormai pieno. Non si poteva prevedere, invece, che, poco più di venti anni dopo, il medesimo Villari avrebbe inserito nella Nuova Antologia del 1891 e più volte ristampato, col titolo La storia è una scienza?, una lunga e confusa scrittura, che, col suo tornare a uno dei principi fondamentali della metodica vichiana, inconsciamente parafrasato da lui quando scrive che « le scienze naturali debbono rinunziare alla vana pretesa d’ applicare il loro metodo ai fatti dello spirito », veniva a essere la sconfessione o, quanto meno, il dubbio circa quel metodo « galileliano » del quale venticinque anni prima 1’ autore s’era fatto banditore. Senonché nella storia della fortuna del Vico quest’ullima scrittura ha importanza grande, non solo quale documento dei primi sintomi di quella rinascita dell’idealismo, e quindi del vichismo, che cominciò a delinearsi in Italia neH’ultimo decennio del secolo decimonono, ma anche e soprattutto perché da quella scrittura Benedetto Croce sarà indotto a studiare la natura della storia, e conseguentemente la Scienza nuova, con quei frutti che si vedranno più oltre. Del Villari sono da tenere presenti anche gli Scritti vari (Bologna, Zanichelli, 1894), dei quali s’ebbe altresì una seconda edizione accresciuta, edita dalla stessa casa senza anno, ma certamente non prima