Bibliografia Vichiana II

edizione, I, 20) l’autore preannunzia di voler considerare « non a parte gli eventi delle singole nazioni, ma nel complesso l’umanità, che, come una sola famiglia, procede di continuo sotto rocchio della Provvidenza ». Un concetto fondamentale della Scienza nuova il Cantù fece proprio quando, al dire d’un suo postumo elogiatore, avrebbe, già prima del Diez, additato « lo studio delle lingue quale una disciplina promettitrice di larghi risultati scientifici ». Una rapida esposizione della Scienza nuova , seguita dall’osservazione che « i libri del signor Ballanche ne presentano una vasta ampliazione », e che il Nostro, « quantunque nodrito alla lettura di Bacone, avendo al tempo medesimo studiato in Platone, interamente antiprogressivo, mostrasi fatalista, cioè partigiano della filosofia greca, che ammette una successione soltanto circolare de’ fenomeni sociali », si legge nei Documenti dell’anzidetta Storia universale. Senonché lo scritto del Cantù, nel quale si discorre più a lungo, e non senza acume, del Nostro, è la Storia degli italiani (v. già sopra pp. 270, 287 e 294, 511-12 e 514). Al contrario del Tommaseo, il quale, come s’è visto (pp. 600-601), pure riaffermando, contro il Vico, la monogenesi del linguaggio, non solo accoglieva pienamente le teorie linguistiche svolte e applicate nel Liber metaphysicus , ma le applicava a sua volta all’antica lingua serba, il Cantù, in ciò cattolico più coerente, le trovava inaccettabili per « chi, come noi, supponga che nel linguaggio siano depositate le prime rivelazioni divine, necessarie per dar lume alla mente e sviluppo alla ragione ». Ma, d’altra parie, non sembra che si fosse reso conto del profondo ritocco introdotto posteriormente dal Vico in quelle teorie, dal momento che contrapponeva a queste l’osservazione che, « poiché le lingue non son formate da’ filosofi ma dal popolo, in esse non si trova attestato il grado di sapere, ma le verità di senso comune » : ch’è precisamente la nuova teoria linguistica che nel Diritto universale e nelle varie Scienze nuove viene sostituita a quella del Liber metaphysicus. Si può ben sorvolare su una critica non troppo felice (I, 103) a un’osservazione del Nostro sulle Dodici Tavole. Ma va pure messo in rilievo che il Cantù intese molto bene (I, 245 sgg.), che, a differenza del Beaufort (v. sopra pp. 239-41) e degli altri precursori del Niebuhr nel diroccare i racconti tramandati dalla tradizione sui primi secoli di Roma, il Vico, non contento di abbattere, aveva voluto adoperare « quei rottami a rifare un edificio grandioso », nel quale « investigò nella romana la storia ideale dell’umanità, interpretò quei racconti come simboli, e, mostrando che l’umanità si costruisce da se stessa, ne seguitò i passi ed i gloriosi acquisti ». Cattolico più consequenziario del Tommaseo il Cantù si mostrò una volta ancora quando, facendosi a discorrere (IV, 222) della concezione vichiana del medioevo come d’un ricorso dell’evo eroico o barbarie prima, osservò giustamente che ciò, se rimosse il Vico dal dispregiare quel periodo storico, e lo indusse a considerarlo come sviluppo provvidenziale dall’umanità, gli inibì, al tempo medesimo, di « valutare il compimento e l’attuazione del cristianesimo in esso avvenuti ». Felici, infine, parecchie delle osservazioni di cui è contesta una più particolare esposizione della vita e del pensiero del Vico (V, 981-88). Felice, per esempio, quella in cui si pone per la prima volta un nesso ira la polemica col Giornale de ’ letterati (v. sopra pp. 18-19 e 173) e quella vera e propria rivoluzione mentale, per cui il Vico, da intellet-

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