Bibliografia Vichiana II

DE SANCTIS

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recoci e, al tempo medesimo, di qualità assai più fine, fu indubbiamente Francesco de Sanctis. Lo si può asserire vichiano sin da quando, nel 1838, ventenne o poco niù aprì, al vico Bisi (oggi Nilo) di Napoli, quella sua prima scuola Privata di, come si diceva allora, « belle lettere », che, dopo i casi del 1848, ai quali chi la teneva dovè prima la prigionia in Castel Sant’Elmo, poi l’esilio, venne chiusa dalla polizia. Egli stesso ricorda d’avere ideato allora una storia delle forme grammaticali, che, « dopo vari tentativi appresso a Vico ed a Schlegel, si ridusse nei modesti confini di una storia dei grammatici da me letti ». E documenti molto più cospicui di quel vichismo giovanile sono i quaderni superstiti di alcuni discepoli, i quali, coi loro appunti, hanno consentito al Croce di ricostruire quelle lezioni e pubblicarle primamente nelle annate XIII-XVII (1915-19) de La Critica indi nei due volumi desanctisiani sulla Teoria e storia delia letteratura (Bari, Laterza, 1926). E invero da quei quaderni appare non solo che sin da allora il De Sanctis citava e adoperava con frequenza la Scienza nuova , ma che, per parlare vichianamente, « suoi auttori », ossia i maestri ideali su cui si venne formando in quella giovinezza operosa, furono anzitutto il Vico, indi il Gioberti, i due Schlegel e lo Hegel. Senza dubbio, egli era ingegno troppo fortemente originale perché, pure in quegli anni giovanili, giurasse in verba magistri : di che, per quanto concerne più particolarmente il Nostro, possono essere prove così il fatto che della Scienza nuova egli, sin da allora, rigettava tanto la teoria dei ricorsi, quanto quella che, nella Discoverta del vero Omero , è stata chiamata tesi filologica (quella sulla personalità storica di Omero e sulla genesi strutturale del Vlliade e dell’Odissea), come l’altro fatto che, già prima del 1848, esortava i discepoli a non fraintendere il Vico quando dai poemi omerici estraeva concetti e tipi esemplari, anzi di tenere per fermo che, in quei casi, il Nostro faceva tanto più opera non già di critico d’arte bensì di storico della civiltà, in quanto, artisticamente, Achille è Achille e non la forza o altra astrazione, Ulisse è Ulisse e non l’astuzia, Tersite è Tersite e non la personificazione del concetto astratto di 4 famoli degli eroi ». Senonché codesta spregiudicatezza e indipendenza di giudizi anche nei riguardi del Vico non toglie che altri due fatti, tra i molti che si tacciono, provino, a loro volta, quanto il De Sanctis gli fosse discepolo non meno devoto che fedele. L’uno è che la dialettica letterario-concettuale vichiana ed hegeliana lasciò sul futuro autore della Storia della letteratura italiana un’impronta che non si cancellò mai del tutto. L’altro, che, decenni dopo, quando, malgrado la forma a lui prediletta delle osservazioni sparse, aforistiche e incidentali, formolo la dottrina dell’arte come mera forma, alla quale la vita, col suo svolgersi, fornisce la varia materia, il De Sanctis assunse atteggiamento di consapevole opposizione di fronte soltanto alle estetiche giobertiana ed hegeliana, non anche a quella vichiana. Né poteva assumerlo, dal momento che, per lui, il concetto della forma era identico con quello della fantasia, della potenza espressiva o rappresentativa, della visione artistica ; ragione per cui è da dire che l’estetica vichiana, fondata sull’autonomia o priorità ideale della fantasia dall’intelletto o sull’intelletto, cora’è un presupposto dell’esplicita