Bibliografia Vichiana II

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FALZON - SHELLEY • CARLYLE

lo Shakespeare, il Milton furono « filosofi di eccelso potere » (p. 61) ; ovvero quando riduce la storiografia a « catalogo di fatti isolati, che altra connessione non hanno fuor che di tempo, luogo, circostanze, causa ed effetto » ( ihid .). Ma s’ accosta ora più ora meno al Nostro quando, in contrapposizione all’opera storica, qualifica il poema una « creazione di azioni in conformità alle forme immutabili della natura umana, quali vivono nello spirito del creatore, che, in quanto tale, è l’immagine di tutti gli altri spiriti » [ihid.) ; o quando soggiunge che tutti i grandi storici furono poeti (p. 62) ; o quando trova che Omero, al tempo stesso che personificava « l’ideal perfezione del suo tempo in caratteri umani » e poneva nei suoi poemi « gli elementi di quel sistema sociale che è la colonna sulla quale poggiarono tutte le civiltà successive », stimolava i suoi lettori o ascoltatori a « diventar simili ad Achille, ad Ettore, ad Ulisse », creazioni immortali, che svelavano nella loro profondità « la lealtà e la bellezza dell’amicizia, del patriottismo, della divozione perseverante ad un oggetjo », ecc. (pp. 64 65) ; o infine quando definiva la poesia « centro e circonferenza della conoscenza », nonché i ciò che comprende ogni scienza e ciò a cui ogni scienza deve essere riferita » (p. 104). Quanto al Garlyle, il Falzon, trascritto integralmente (pp. 526-29), dalla prima lezione del citato On heroes , il lungo brano nel quale l’autore esamina l’orìgine o natura dei miti del paganesimo, conchiude che codesto brano presenta una « notevole somiglianza » col metodo seguito dal Vico nell’ interpretazione dei miti. Senonché, in fondo, tutto si riduce a questo : che, come già il Vico, anche il Garlyle respinge le teorie che vedevano nel mito o una frode cosciente o nìent’altro che un’allegoria. Ché, quanto al resto, lo scrittore inglese, senza sapere assurgere punto alla dottrina vichiana dei « caratteri poetici », anzi senza neppure sospettare che una teorìa del genere fosse stata formolata, si contenta di porre l’origine del mito in correlazione col fatto che «il mondo, che ora è divino soltanto pei più dotati », nei primordi dell’ umanità era divino « per chiunque volgesse gli occhi su di esso » ; che per gli uomini primitivi « tutto ciò che vedevano esistere fuori di loro era emblema del divino o di qualche dio »; che, con la « freschezza dei fanciulli », essi guardavano a quanto è in cielo e in terra « con terrore ed ammirazione », e sentivano « quanto di divino v’è nell’uomo e nella natura». Ch’è un riecheggiamento parziale, e assai indebolito, di soltanto talune delle teorie o visioni, che, con ben altra vigoria sia concettuale sia artistica, vengono esibite dalla Scienza nuova. Dal momento, poi, che il discorso è caduto sul Garlyle, giova da un lato ricordare ciò che di lui, a proposito del Nostro, scrive il Vaughan (v. sopra p. 927) e, dall’altro, aggiungere ancora che egli, « continuando senza saperlo un pensiero del Vico, riponeva la 4 qualità centrale ’ di Dante, dalla quale tutte le altre fluiscono come da fonte naturale, nella 4 grandezza del cuore’» (Groce, La poesia di Dante , ediz. ci t., p. 188, che rimanda al Dante in english litterature di P. Toynbee). 11 Falzon, infine, informa che nella biblioteca pubblica di Malta è un esemplare della Scienza nuova nella redazione del 1730 con la dedica autografa «A. S. E. il sig. co. d’Almenara l’autore». Si tratta di don Gioacchino Fernàndez de Portocarrero, che, per l’appunto conte d’Almenara, era stato viceré interino di Napoli nel 1728, e in onore del quale