Bibliografia Vichiana II

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FERRARI

quando il suo editore e interprete si fa a sostenere che «il principio che re"na sui pensieri degli uomini e sulle cose di questo mondo, la dea di tutte le rivoluzioni repubblicane o dinastiche », è « la fatalità » ; sia e ancora più, quando il medesimo Ferrari si dà ad asserire, nel saggio sulla filosofia della storia, che questa non è identificabile con la storia positiva ; che criticabili sono tanto la circolare teoria vichiana dei ricorsi quanto quella rettilinea del progresso ; che la filosofia della storia dev’essere non una storia, ma una teoria degl’ ideali, scienza intelligibile, laddove la storia reale è abbandonata alle forze della natura ed è inintelligibile » : affermazioni tutte che, come vede ognuno, ristabiliscono nel modo più crudo il dualismo scolastico tra le idee e i fatti. Come poi, anche volendo, giudicare con indulgenza la Mente del Vico ? Ci s’imbatte, sì, in qualche raro ravvicinamento inaspettato e in qualche rara osservazione acuta (per esempio, quella sui contrasto delle tradizioni italiane e francese nell’ltalia del Settecento) : ma, generalmente parlando, s’accavallano in essa asserzioni e giudizi che a qualunque studioso del Vico non possono non apparire strabilianti. Il genio del Nostro una volta è « simmetrico », un’ altra « elastico », più spesso è da sonnambulo. Proprio così, « da sonnambulo », dal momento che a, proposito del Vico, il Ferrari usa e abusa della frase « sonnambulismo del genio », messa in circolazione dal Ballanche (v. sopra p. 487-93) : caratterizzazione, che, sebbene molto lodata dal Cattaneo, riesce, nei riguardi del Vico, tanto meno appropriata in quanto tratta quasi da incosciente chi, malgrado certe confusioni e oscurezze, era ben consapevole non solo di ciò che voleva ma anche di ciò che valeva. Né il Ferrari si ferma qui. Il Diritto universale, per lui, è lavoro pieno di contraddizioni, « eccentrico », paragonabile alla « torre inclinala di Pisa ». II Nostro fa opera inane quando vuole spiegare la civiltà con la civiltà, in guisa che tutto sfugge al suo circolo. Il Ballanche lo supera tutte le volte che vuole, così come nella storia romana lo vince il Niebuhr. Non intese né il medioevo né il mondo moderno, ecc. ecc. E dopo avere, sentenziando a codesto modo, ridotto il povero Vico a filosofuccio e storicuccio di quart’ordine, il Ferrari, come se glf avesse elargito gli encomi più solenni, conchiude : « Chi può attribuirsi maggior genio di Vico ? nessuno. Chi può sperarsi più innovatore, più originale di Vico ? nessuno ». E non è finita ancora. Ecco, per addurre soltanto qualche altro esempio, 1’ impressione suscitata nel Ferrari dalla pagina altamente poetica, nella quale il Nostro, appoggiandosi in qualche modo al mito antichissimo di Giove tonante, descrive il terrore determinatosi nei bestioni erranti per la gran selva della terra, quando, dopo secoli di bonaccia, « il cielo finalmente folgorò, tuonò con folgori e tuoni spaventosissimi » ( Opp ., IV, capov. 377). « Dal momento che il Vico vuol trarre da un temporale tutti i timori di una religione sapiente, le arti imposte dalla civilizzazione, i matrimoni, le famiglie, la proprietà, l’agricoltura, allora il principio del fulmine si rassomiglia interamente ad una sciocchezza napoletana». Se ne vuole di più ? La communis opinio, altamente ammirativa, che la Scienza nuova è andata sembrando sempre meno oscura via via che, per altre strade, il pensiero europeo e pervenuto press’a poco ai risultali conseguiti già da quella, si trasforma stranamente, presso il Ferrari, nella tesi, sgangherata nelle sue intenzioni reprobative, che l’opera del Nostro restò del tutto inutile, dato che