Bibliografia Vichiana II

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FAKMA

siduo del Vico fu quel Michele Parma, a cui il Manzoni scriveva il 12 giugno 1825 da Brusuglio d’avergli trovato un posto d’istitutore presso il conte Lorenzo de Cardenas da Valenza. Nel decembre 1835 pubblicava nell’ anzidetto Ricoglitore un lungo articolo sul Rinnovamento del Mamiani, nel quale articolo scriverà poi egli stesso - « spiegai il Vico a segno delle mie idee, che non mi sembrano divergenti dalla teoria esposta da esso nel libro Dell'antichissima sapienza degl'italiani». Può darsi che toccasse del Nostro in altri due lavori editi a Milano prima del 1838 e che chi scrive non è riuscito a vedere, ossia in un discorso Del sansimonismo e in certi Colloqui e ragguagli domestici. A ogni modo, nel 1837 cominciò a dare fuori anonimi, nel periodico ora mentovato, una serie di studi sul Vico, che raccolse poi in un volume di 232 pagine dal titolo « Sopra Giambattista Vico, studi quattro di Michele Parma » (Milano, vedova di A. F. Stella e Giacomo figlio, agosto 1838). Il primo (pp. 1-47) è, in fondo, una recensione della prima silloge vichiana del Ferrari, specie del volume sesto. A parlare franco, cervello intellettualistico, il Parma mostra di non avere compreso punto né l’estetica né la linguistica vichiane. Senonché ciò rende ancora più notevole il fatto ch’egli intendesse perfettamente il valore grande del cosiddetto Giudizio su Dante, e notasse, lui pel primo, che negli Affetti d’un disperalo (v. sopra pp. 103-104) si risente « quell’energia e sobrietà di lamento che in peggiore condizione e con tocchi più vibrati faceva risuonare il Campanella nella sua lunga e dolorosissima prigionia », e che solamente in codesta canzone «il Vico fu poeta», giacché gli altri suoi versi « sono un misero e infecondo tributo, salvo pochissimi passi a mala pena riconoscibili, a un secolo lussureggiante di parole, di adulazioni e di malintesa mitologia » (pp. 40-41). 11 secondo studio (pp. 48-117), che si suddivide in due capitoli, concerne la Discoverta del vero Omero. Appunto perché l’estetica vichiana gli era riuscita incoraprensibile, non era assolutamente possibile che il Parma cogliesse la profonda verità ch’è nell’affermazione, sia pure apparentemente esagerata, che Omero, privo affatto di sapienza risposta o filosofica o intellettualistica, abbondasse, per contrario, di sapienza meramente volgare o poetica. Non è quindi da stupire se il Parma stesso si faccia a dimostrare, contro il Nostro, che in Omero esiste pure una sapienza riposta, « non in forma filosofica, che sarebbe ridevo! cosa, ma in quella manifestazione naturale, tradizionale e sociale, a cui la cognizione delle umane passioni, 1’ effetto delle credenze, l’idea e il fatto della giustizia e del diritto, lo sforzo di un mutamento presentito e desiderato, gli errori, insomma, le fiducie, le speranze, ogni cosa, infine, che attiene a’ destini dell’ uomo in società » (p. 77). Nel passare poi, in questo medesimo studio, da Omero alla mitologia, intesa, secondo la definizione di Goffredo Hermann (1772-1848), per la « scienza che ci