Bibliografia Vichiana II

GIOBERTI

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ammirava il Vico più di qualunque altro filosofo moderno, il Gioberti si compiacque più d’una volta M’atteggiarsi quasi ad anima sua gemella. E dal canto loro, per una trentina d’ anni, i giobertiani d’ ogni parte d’ltalia, e quelli napoletani in ispecie, ricantarono in tutti i toni che nessuno più e meglio del loro duca, signore e maestro aveva tratto profitto dall’ « italica » filosofia inaugurata dal Nostro ; nessuno, nello svilupparla, aveva raggiunto un grado così alto di perfezione. Persino Bertrando Spaventa, sino al 1860 quanto mai avverso al Gioberti, finì col ricredersi e manifestare l’opinione che nel giobertismo fosse « fondata la nuova metafisica desiderata dal Vico » (v. sopra pp. 372-3 e qui appresso p. 620). Senonché, col progredire degli studi e della conoscenza del genuino pensiero vichiano, questa per tanto tempo communis opinio incontrò un numero sempre più alto di oppositori. Sin dai suoi tempi il Cantoni osservava che, pure asserendo che il Vico non è mai così grande come quando filosofa sulla storia, il Gioberti non tenne quasi alcun conto delle correlative dottrine vichiane, e anzi, nell’esporre, nell’lntroduzione allo studio della filosofia , alcuni tratti d’una filosofia della storia, non citò quasi mai la Scienza nuova e preferì attenersi al Greuzer, al Gorres e ad altri scrittori francesi e tedeschi. Poco dopo, Francesco de Sanctis asseriva improponibile l’usuale raccostamento del filosofo piemontese a quello napoletano, il quale ultimo aggiungeva, malgrado la sua errata dottrina dei ricorsi, compì scoperte storiche insigni, e possedeva, insieme con una grande forza di analisi, quell’attitudine che il Gioberti non intendeva e spregiava come psicologica : l’attitudine che consentì al Vico di enunciare quei capilavori che sono le Degnità , di trovare a ogni passo cose nuove, di aprire le vie a tante discipline fiorite dopo di lui : di che non era nulla nell’autore del Primato. E, in tempi molto vicini a noi, Benedetto Croce ha aggiunto che la forinola giobertiana dell’ente che crea l’esistente e dell’esistente che torna all’ente fu messa a profitto da chi la aveva escogitata per rigettare il panteismo e lo psicologismo, cioè, da un lato, ogni concezione immanentistica della realtà, e, dall’altra, la filosofia dello spirito : quella concezione e quella filosofia alle quali, già molto prima-degli idealisti tedeschi, il Nostro aveva elevato un monumento aere perennius. A conferma di che, si legga un passo delle Meditazioni filosòfiche inedite , nel quale l’autore, dimentico di avere sostenuto che, salvo l’errore colossale detto sopra, l’opera vichiana è tutta vera, asserisce che « il sistema del Vico contiene molto oro : nondimeno, se si prende in tutte le sue parti, esso introduce lo scetticismo nell’archeologia e l’idealismo nella storia ». In un solo scritto si potrebbe dire in certo senso che il Gioberti canti o creda di cantare all’unisono col Vico, ed è in quel « delirio » nazionalistico ch’è il Primato civile e morale degl 9 italiani (v. già sopra pp. 586-87). Senonché a quale Vico attingeva l’autore di quel delirio ? Non, di certo, al vero e grande Vico delia Scienza nuova, bensì al Vico deteriore delle ipotesi intellettualistico - nazionalistiche sull’antichissima sapienza o civiltà italica : quelle ipotesi che, come osserva il Croce, divennero pel filosofo piemontese quasi un « prologo in cielo », al quale egli appiccicò il « dramma in terra » dell’asserito primato italico in ogni campo e in ogni tempo. Naturalmente, il Vico della Scienza nuova, come già in questa quelle sue quasi giovanili ipotesi, così avrebbe rifiutato le illazioni che se ne traevano nell’opera giobertiana, e soprattutto avrebbe