Bitef

SUD COSTA OCCIDENTALE il nostro lavoro comincia a Palermo (agosto 1999), dove faticosamente cerchiamo di mettere radici. La compagnia Sud Costa Occidentale è composta da attori di esperienze diverse e ogni progetto non è mai fermo, non finisce mai né mai ricomincia. È un teatro che si allarga e si restringe a seconda dei casi, non trattiene prigionieri ed è sempre aperto a quei contagi diretti che danno un senso di libertà intellettuale. Il punto di partenza della nostra ricerca nasce, essenzialmente, dal peccato e dal peggio di sé che l'attore deve offrire come atto d'amore. Ciò che ha da dire lo deve dire interamente, senza vergogna, per superare quel senso del ridicolo che ostacola l’incontro creativo. Insieme ai miei giovani compagni della compagnia Sud Costa Occidentale, nonostante la mancanza di spazi e l'assenza di avvedute conduzioni amministrative, cerchiamo di rendere proficuo il nostro disagio e lavoriamo senza interruzione, anche sei mesi l'anno, su un unico progetto, con la convinzione che ciò che fa spettacolo e dà nell'occhio non è la cosa principale. Non ci interessa il risultato, lo "spettacolo" deve essere solo il punto di arrivo di una reinterpretazione paradossale della realtà che diventa linguaggio, dove il segno non è il messaggio, come la mappa non è il territorio. Uno spettacolo è un "teorema della menzogna" dove un segno deve essere usato per mentire, per giocare, è un'espressione del paradosso del bugiardo: “Ciò che sto facendo non è ciò che sto facendo". L'attore è il Mentitore, colui che scatena azioni e reazioni schizofreniche, che è in grado di provocarsi e provocarci un trauma, un cortocircuito che insinui la presenza di un altro mondo intriso al tempo stesso di orrore e di bellezza. L'essenziale per noi è scoprire le nervature, applicare il nostro talento in un processo artistico e allenarci tutti i giorni per mettere a disposizione di questa storia la nostra esperienza dì vita. Vogliamo entrare consapevolmente in un processo di autorialità per generare le parole prima di pronunciarle, lo e miei ragazzi, prendiamo dàlia strada le cose morte, abbandonate, le cose che la gente per bene non vuole più e ce le portiamo nel nostro ex carcere occupato. Là, queste cose non risorgono, restano morte e abbandonate e noi saltiamo e facciamo capriole tra le macerie. Palermo è una città moribonda. Come i miei spettacoli. La nostra sperimentazione è antiquata ed è solo un modo per restare a galla. Per non morire del tutto. E'una sperimentazione pre-istorica. lo credo nella vucciria dei mercati, nella vastasata, nell’lronia, in ogni barzelletta che sta dietro alla disperazione umana. Questo è il teatro che voglio. Non amo gli attori che sanno recitare né gli artisti che si identificano con la loro idea di fare arte, lo gioco col teatro come se mi giocassi la vita! Il valore più grande che ha per me un gesto artistico è l'oiterta della propria miseria e della propria dignità, senza protezione о compromessi. "L'unica cosa che conta è offrirsi umilmente come campo di battaglia" scriveva Etty Hillesum. I fantasmi che cerco hanno facce mostruose, ma sono umani, profondamente umani. Come quelli che incontro dalle parti di Ballato, al Capo, alla Cala davanti al porto, о a Piazza Sant’Oliva о alla Magione, tutta gente di merda, grottesca e fastidiosa alla vista, come i miei personaggi. Ma è gente migliore di me. Ne sono sicura. Lo sento. Hanno tutti uno strano senso dell'onore che io ho perso. Parlano una lingua antica, sconosciuta e a me incomprensibile, lo non so mai cosa dicono. Me lo fanno apposta a non farsi capire. Per questo scrivo in dialetto, perché anche se non comprendo, tutto mi è familiare. Quando imparerò a capire il dialetto dei miei spettacoli, mi sentirò perduta, orfana, sola. Voglio che rimanga impuro, il mio dialetto bastardo, sgraziato e disgraziato. lo non so cosa significa:"Niscemu?''E non me ne posso andare. Rimango qui, dentro Palermo. In questa città di figli bastardi senza padre. Barricata coi miei ragazzi nel nostro teatrino delle prigioni. Tutti i giorni ci chiudiamo dentro, col catenaccio, perché se arriva la polizia e trova aperto sgombera, ci manda a casa. Ci libera dalle sbarre.