Bitef

debutto nella regia dopo anni di scene e di costumi, ha messo su un divino pastiche di forme elette, in cui Brutto e Bello s’accoppiano in totale armonia dei sensi. Il nudo c’è, e tanto. E’ il motivo ricorrente della pièce, ma così splendido nei suoi splendori, e opportuno nei suoi abissi, da risultare, assolutamente, scrittura. In scena non vigono il desiderio di scandalo, la foia eversiva della provocazione, bensì il coraggio della autoconcessione, della disquisizione sofisticata e snob sul libertinaggio. Può considerarsi, questo Barry Lyndon, una indicazione di tendenza, su cui merita indagare per capire. Sono partito dal romanzo di Thackeray, dall’esuberante soldato irlandese reso figura dal film di Kubrick, per proporre uno spettacolo ’dei sensi’ in maniera totale, cioè una forma di conoscenza che passa per l'esercizio esasperato della sensualità. Il ’modo’ è quello in cui credo da sempre, ma i moduli mi sono nati tra le mani, in questa occasione, con una naturalità

strana, quasi involontaria. Partendo da 'Barry Lyndon, ’ ho lasciato andare la messa in scena verso uno svolgimento onirico imposto dagli attori che avevo fra le mani, del gioco dei corpi, dalla esaltazione dei desideri provocata dalla bella letteratura del testo di Germano Lombardi. Un trattato, visivo/auditivo sul libertinaggio? Forse. Ci sono di mezzo tutti, i libertini classici, Don Giovanni in spirilo, Casanova in carne ed ossa, i seduttori schnitzleriani e le complicate liaisons di Ibsen, il marchese De Sade e le irresistibili profferte di Marilyn, di Mae West, della Dietrich... Ma ciò che mi premeva era proprio la proposizione dei sensi in quanto strumento raffinato e delicato, sensibile, scandaloso e purificatore di conoscenza. Va creduto, Agitoti. Il messaggio insinuante del suo spettacolo, al di là degli esemplari di fisica perfezione che esibisce, al di là delle suggestioni umbratili di certa pelle maschile e femminile arrogantemente esposta, è in effetti la denuncia di nuovi bisogni.