Breve storia della provincia Veneta della Compagnia di Gesù

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Libro l. Dal 1814 al 1848.

rono mai le vocazioni religiose. Nel 1847 entrarono in noviziato tre sacerdoti, sette fratelli scolastici e tre coadiutori ; e fu notato come parecchi d’ essi avevano chiesto d’ essere arrolati alla nostra milizia, quantunque non 1’ avessero mai conosciuta altrimenti che per vederla tanto perseguitata. Ragionando alla stessa guisa che già Tertulliano della religione di Cristo, avevano seco medesimi pensato, non poter essere altro che qualche gran bene quello, eh’ era sì fortemente odiato dai cattivi. A Brescia il convitto seguitò a procedere maravigliosamente bene, senza discendere punto da quell'altezza, alla quale il vedemmo pervenuto ; e gli alunni toccarono il centinaio. Nell’ autunno del 46 si cominciò a insegnare la filosofia. Al solenne saggio che se ne diede gl’ invitati (tra i quali erano persone ben competenti in quella materia) rimasero ammirati d’ ima cosa sì nuova, e non cessavano di lodare il metodo d’ insegnamento della Compagnia. Per aver propizia la Santissima Vergine, Patrona degli studi, il P. Rettore aveva ordinato che per tutto il tempo del detto saggio ardessero davanti alla sua immagine nella cappella alcune candele. ■Riferiremo ancora un bel fatto che in quegli anni accadde. Il P. Rettore Peretta desiderava, anzi si vedeva per più ragioni costretto a fare acquisto d’ una casa attigua al collegio, nella qual casa erano ricoverate delle ragazze povere e pericolanti, e le era anche unita una chiesa dedicata 'a San Giacomo. Ma non si poteva far nulla, se egli stesso non procurava prima a quell’ istituto un' altra sede, Aveva adocchiato come opportuno a tal fine il convento di Santo Spirito, proprietà del governo, die glielo cedeva al prezzo di quarantasette mila lire austriache. Ora il P. Peretta, che per le ingenti spese recentemente fatte intorno al collegio altre ricchezze che di debiti non aveva, eppure doveva far quell’acquisto, divotissimo com’era di San Giuseppe, anche in questa nuova stretta fece ricorso a lui, e impetrò la grazia nella maniera che segue. Avendo la contessa Margherita, figlia di Andrea Erizzo Maffei, lasciato morendo alla Compagnia (benché nessuno dei Nostri la conoscesse per veduta, non che le avesse mai parlato) una villa vicino alla città, la figlia erede di lei, piissima donna, fece calde istanze al Rettore, che le volesse cedere la villa, cui portava molto affetto, ed ella gliene darebbe una conveniente somma di da-