La critica e l'arte di Leonardo da Vinci

156 PARTE SECONDA

rude immagine del proselitismo. Non della legittimità dell’interpretazione storica si preoccupa dunque lo scrittore : il fanciullo, se non è legittimo come immagine del Baitista, è innocuo; mentre il giovanetto di Leonardo non è innocuo, almeno ai malati dei secoli XIX e XX.

Infatti gli uomini del Rinascimento erano più sani di noi, e non soffrivano di certe ipersensibilità. Onde, anche più che sotto l'aspetto morale, il giudizio del Berenson mi sembra insostenibile sotto l'aspetto storico. Nessuno scandalo produsse alla Corte di Francia l’interpretazione vinciana del Battista. Dovremo noi gridare al blasfema? Non commetteremmo il medesimo errore di quelli che condannano le civiltà protettrici della schiavitù, anche se, sotto altri aspetti, furono più morali di noi? Perchè, se a un’opera d’arte abbiamo diritto di chiedere una specie dell’eternità, questa è la sua funzione estetica; ma tutti gli altri aspetti vanno interpretati solo secondo i criteri del tempo in cuì l'artista visse.

Considerazioni simili valgano contro le obiezioni alla « Cena ».

Ben altrimenti importante è l’obiezione del Berenson alla espressione della « Gioconda », perchè rientra perfettamente nell'orbita della critica d’arte. Egli difatti identifica l’incertezza e la perplessità dell'espressione psicologica con l’incompleta attuazione della fantasia artistica : poichè si rimane incerti davanti al significato spirituale della « Gioconda », e non si può ricevere come atto di grazia l’infusione della vita creata dall'arte, si deduce il difetto di attuazione.

E qui mi si permetta di citare il Lomazzo. Contrapporre la critica del Lomazzo a quella del Berenson, può sembrare audace, lo so. Il Lomazzo era un pover uomo che, se si dipartiva dalla sua pratica di artista, cadeva in vuote astrazioni ideologiche; e il Berenson è una delle più organiche menti della

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