Bibliografia Vichiana II

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GIUNTE E CORREZIONI

due provvidenze, i due attributi, ia natura e lo spirito, in modo che uno di essi sia scala all'altro, e col concepire il punto di anione e la derivazione del contrario come spiegamento o sviluppo », ecc. p. 627. Sul Rivato, che insegnò poi (Rosolia nell* Università di Padova, vedere la commemorazione che il 21 maggio 1876 ne fu letta nelI’ Istituto veneto da Giacomo Zanella, il quale la raccolse poi nei suoi Scrini vari , ediz. cit, pp. 277-93. pp. 669-70. Tra i piccoli scritti di diverso argomento va aggiunto un dialogo giovanile di Adolfo Baiteli da Fivizzano (1833-94), inserito nelle citate Lettere di famiglia del Thouar. Ivi, appendice 111, pp. 5-6, polemizzando con Aurelio Gotti da Firenze (1834-1904), il (piale, in una Lettera al prof. Ghinazzi, aveva informato di « chiamare ‘ storia ’ ciò che c avvenuto nel passalo, e 4 istoria * il libro che lo racconta », il Bartoli osserva, tra l’altro, che di codesta differenza non è traccia negli scrittori italiani, e che anche il Nostro adopera promiscuamente « storia e « istoria » nel significato di « racconto di cose accadute ». Cfr. Croce, Conversazioni critiche , V. 241-42. p. 686. Giova consacrare un numero 5 bis a colui che, in un saggio famoso, Francesco de Sanctis chiamava « l’ultimo dei puristi », ossia a Ferdinando Ranalli da Nereto in provincia di Teramo (1813-94), stato a Napoli, insieme con esso De Sanctis, discepolo di Basilio Puoti. E invero ben cinque lezioni (XLVIII LI), lunghette anziché no, egli consacra al Vico nella prima parte, concernente i Critici e filosofi della storia, delle sue Lezioni di storia tenute nell’Università di Pisa nell’anno scolastico 1863-64 e pubblicate in due volumi presso il Lemonnier di Firenze nel 1867-68 (cfr. 11, 106-80). Senza dubbio, in codeste lezioni, anche a prescindere dalla pesantezza dello stile, non mancano né inesattezze di fatto né ingenuità di giudizi. Tuttavia il Ranalli, nemico dichiarato che fosse della filosofia, riuscì, col semplice lume del buon senso, a vedere ciò che oggi molti tra coloro che ostentano la qualifica di filosofi non sanno o non vogliono vedere. Ecco, per esempio, come sin dal 1863 giudicava (11, 147-48) le professioni di fede caltolica, che s’incontrano così spesso negli scritti vichiani. « Non apparisce abbastanza chiaro ch’egli cotali protestazioni facesse coll’animo di non procurare pericoli alla sua dottrina in tempo di feroci inquisizioni ad ogni pensare che alcun poco sopra quello delie scuole s’innalzasse? E non discrediamo che il Vico sinceramente non accogliesse parecchie dottrine del Grozio e del Puffendorf, stimandole non buone ; ma crediamo altresì che a lui dovesse parere necessario, non che utile, apparir altro da quelli autori, che sapeva odiatissimi a una tirannide non avvezza a tollerare che di diritti naturali e umani facessesi ricordazione, non che si ragionasse delle origini di cose delle quali voleva a se medesima lasciato l’arbitrio. E come non ci maravigliamo che paressegli fortuna che l’opera sua esaltasse con ogni lode il Cardinal Lorenzo Corsini, al quale pure era dedicata..., così né manco ci maravigliamo che le censure fattegli dai protestanti di Lipsia gli facessero pure accorgere come egli, per fuggire un odio vicino, ne aveva incontrato uno lontano oppostissimo, avendo i censori alemanni fin giudicato ch’egli non iscrivesse che per levarsi avversario del Grozio e del Puffendorf in difesa della Chiesa romana. Tanto è stato difficile a poveri autori nostri 1 evitare uno degli scogli senza urtare nell’altro ! », ecc. ecc. Pare inoltre che il