Bibliografia Vichiana II

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MARINI

timenti religiosi di Giambattista Vico, la sua filosofia conduce diritto al panteismo. Né, a dire il vero, il Marini dà prova di maggiore vis logica e di più affinata conoscenza di storia filosofica nel capitolo consacrato agl’ispiratori o « auttori » del Nostro. Il Vico stesso tutt’ altro che amante e nemmeno buon conoscitore della scolastica li aveva additati in Platone, Tacito, Bacone e Grozio, ai quali gli studi odierni sono venuti aggiungendone per lo meno altri quattro ; Aurelio Agostino, Cartesio, Hobbes, Spinoza. Invece, secondo il Marini, che, per tal modo, si fa precursore di certi neoscolastici dei giorni nostri, « è in Dante, negli altri geni, che 10 precessero. Alberto Magno, Rogero Bacone, san Bonaventura, san Tommaso d’Aquino, che bisogna ricercare lo spirito onde venne informata la Scienza nuova »: quello spirito che nel capitolo antecedente era stato additato come sostanzialmente anticattolico e, per questo fatto medesimo, antiscolaslico. Più utile o meno inutile è l’altro capitolo sui cosiddetti discepoli del Vico. Di certo il Marini, contraddicendosi una volta ancora, pone tra costoro anche molti di coloro che avevano assunto atteggiamento apertamente ostile alla filosofia professata da Santa Madre Chiesa. A ogni modo, pure tra un mare di parole, si riscontra di quando in quando qualche giusta osservazione circa i rapporti ideali tra il Nostro e codesti suoi postumi discepoli, tra cui vengono annoverati in grande disordine cronologico il Filangieri, lo Steliini, il Duni, il Cuoco, il Pagano, il Briganti, il De Attellis, il Pongano, il Rogadeo, il Còncina, il Romagnosi, 11 Rousseau, il Condorcet, il Ferguson, lo Chastellux, il Walckenaer, il De Maistre, lo Herder, lo Hegel, il Savigny, il Niebuhr, l’Owen, il Fourier, il Villemain, il Bonald, il Lacretelle, il Salvandy, il Guizot, l’Altmeyer, il Saint-Simon, il Cousin, lo Chateaubriand, il Gioberti, il Gantù, il « signor Luigi Gecconi » e, maggiore di tutti, il Jannelli. Un certo interesse può avere il fatto che il censore civile del libro del Marini, cioè Emmanuele Rocco, pure dichiarando di non avervi trovato, sotto l’aspetto politico, alcunché di censurabile, consigliava, « in quanto alla parte religiosa», di far rivedere l’opera «al padre maestro Salzano, ex provinciale de’ domenicani, dotto teologo e revisore della Pubblica Istruzione ». Senonché il Salzano attestava che il lavoro esponeva « con forza di raziocini e con molta erudizione la parte che s’ebbe quel sommo », cioè il Vico, « aU’immegliamento dell’uomo e della società » in senso prettamente cattolico. Una diffusa lettera privata (Napoli, 2 decembre 1852), restata inedita e della quale è copia nella collectio del Croce, scriveva al Marini, contro lo spirito che anima il libro di lui, Nicola Nicolini (v. sopra pp. 462-65). Quasi al tempo stesso, l’altro giureconsulto Vincenzo Lomonaco da Aieta in provincia di Cosenza (1811-83) pubblicava nel Poliorama pittoresco (XIV, 1852, pp. 218-20), che già negli anni precedenti aveva ospitato un suo sonetto sul Nostro (a. X, n° 47, 27 giugno 1846) un’altra epistola, questa volta aperta, al medesimo Marini, nella quale procurò di dimostrare che il Vico, pure non avendo definito con sufficiente chiarezza il concetto del progresso, intese tuttavia perfettamente che, nei periodici ritorni alla barbarie delle origini, l’umanità spossata feconda i germi d’una nuova civiltà. Altri ragguagli del Marini recano, oltre il solito Ulloa, Pensées et souvenirs, li, 322-23, 392