Bibliografia Vichiana II

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MAMIANI

Né poi, nei punti in cui fa appello al pensiero vichiano, il Mamiani diè prova di averlo inteso a fondo. Si sa bene che in quel suo libro egli assunse l’atteggianiento di chi avrebbe restaurato, nella filosofia, il « metodo naturale », ossia delle scienze naturali. E su che cosa si fondava codesto suo atteggiamento se non su un duplice errore : nell’ avere preso alla lettera la quasi fictio con la quale il Nostro aveva voluto attribuire a una fantasticata antichissima filosofia italica la propria personale gnoseologia e la propria personale metafisica e nell’avere dato interpretazione materialistica a una metafisica e gnoseologia così fortemente antiraaterialistiche ? A ogni modo, il Mamiani trova il Galluppi degno « di proseguire la sapienza del Vico e del Genovesi » (p. 72). Ricorda (p. Ili) che « nella facile combinazione de’ principi sta, come pare al Vico, risposta la favilla del genio ». Asserisce (p. 116), riecheggiando inesattamente un passo dell’ Autobiografia relativo al trapasso dalla Scienza nuova informa negativa alla Scienza nuova prima (Opp., V, 48-49) che il Nostro, « per accertarsi delle sue induzioni, riedificò la Scienza nuova in ordine inverso ». Premesso che il Vico « mai non potè posare la mente sopra la materia cogitabile senza lasciarvi grande orma del genio suo », soggiunge (p. 286) che il Nostro « prese a difendere la dottrina antica italiana dei punti metafisici » : con che il Mamiani mostra d’ ignorare che, messo alle strette dal recensente del Giornale de’ letterati d’ltalia, il Vico aveva finito col confessare (Opp., 1, 255-56) che quella teoria era farina del proprio sacco. Trova (pp. 436-47) o, meglio, s’illude di trovare che i suoi concetti intorno al principio di causalità « si raffrontano con parecchie opinioni del Vico, talune certe e talune molto probabili », quali la teoria del conato (Opp., I, 160-61) e le altre svolte nei tre paragrafi del Liber metaphysicus intitolati rispettivamente « Motus omnes compositos », « Extensa inquieta » e « Motus incommunicari » (Opp., 1, 162-66). Ritiene inoltre (pp. 437-39) che in quel Liber s’incontrano altri concetti, « i quali, benché singolari e arditi, ci persuadono » anch’essi « della loro certezza » : quali per esempio, il negare « la possibilità del voto assoluto » e l’affermare che « fenomeni determinati e finiti accusano tutti un mondo di esseri indivisibili e indefiniti ». Asserisce (pp. 457-59) che, « allora quando il sapientissimo Vico emise quel suo pronunciato che dice consistere il criterio del vero nel farlo, egli non propose nulla che uscisse dai termini dell’ intuizione, bensì andò riguardando in lei, oltre i caratteri universali, talune doti più particolari, e ciò fece con l’intento di profferire a un tempo medesimo il criterio della certezza e il criterio della scienza ». E finalmente, dopo avere posto che alla dottrina del Campanella si doveva aggiungere, tra l’altro, « una circoscrizione più vera e meglio pensata del mondo metafìsico », aggiunge (p. 492) che codesto « assunto venne accettato dall’immortal Vico, il quale, entro i limiti di poche pagine e con certa precognizione, quasi a dire miracolosa, dei risultamene dell’analisi, tracciò un largo e giusto disegno del mondo giacente di là dai fenomeni ». Senonché, dopo avere pubblicato il Rinnovamento, il Mamiani finì pure col prendere conoscenza più o meno diretta della Scienza nuova. Ciò appare dalle Confessioni di un metafisico, pubblicate nel 1865 in due grossi volumi presso il Barbèra di Firenze, e nel cui quinto libro, consacrato alla teoria del progresso, si discorre cinque volte del capo-