Il Molise dalle origini ai nostri giorni

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di S. Giovarmi Gerosolimitano „ dei Bossio. È superfluo qui rilevare die prescindiamo dagli slavi capitanati da Aiczeco (dei quali abbiamo trattato nel capitolo XII del presente volume) e dalle immigrazioni ulteriori fino al mille, attestate da Paolo Diacono nel “ De Gestis Longobardorum „ nel Muratori. Gli Sehiayoui come lì chiama per consuetudine il popolo vennero fra noi probabilmente per iniziativa dell'Ordine suddetto, desideroso di mettere in valore le torre incolte che possedeva in feudo nelle nostre contrade. E di certo Acquaviva fu il loro primo asilo, donde si propagarono poi a S. Felice anteriormente al secolo XIV, a Mafalda (già Ripalta del Triguo) nel 1483, a Tavemia e Montemitro alcun tempo dopo, a S. Giacomo nel 1561, a S. Biase e Morrone, nel quale ultimo Comune la contrada più bassa e prossima all’ abitato porta ancora il nome di “ Schiavonia „. In siffatti centri, ad eccezione di Morrone e S. Biase, essi assunsero man mano il predominio numerico; e rimasero infine padroni del campo allorché gli indigeni ridotti ad esigua minoranza conversero nei Comuni vicini. La penetrazione slava non fu opera di legge, nè di privilegi, e molto meno di sopraffazioni e prepotenze ; fu dovuta , invece , alla rigogliosa propagazione della specie, alla buona fama dei nuovi venuti, alla loro operosità agricola, all’onestà dei loro costumi, alle simpatie che seppero dovunque suscitare. Gli slavi molisani, lungi dal dare un contributo al brigantaggio, lo hanno dato e validissimo alla sua repressione; e fino al 1861 non si contava fra loro un sol renitente alla leva! (461). Sono gente che rispetta il prossimo e vuole essere rispettata: ignara d’ogni codardia, aperta di carattere e piena di coraggio civile, ammiratrice dei propri novellatori, fiera dei rapsodi della stirpe, o della poesia ingenua e gagliarda dei secoli lontani, della quale daremo qualche notizia nel IV volume. L’idioma slavo, attualmente, è parlato soltanto in Acquaviva e S. Felice, e tonde a disparire. Recente, infine, l’immigrazione degli Albanesi, pur risalendo alla seconda metà del secolo XV. Nel 1461 Ferrante I d’Aragona versava in dure angustie pel prevalere nel Reame della fazione angioina, e cercò aiuti a Giorgio Castriota, detto “ Scanderberg „ già beneficato dal re Alfonso I. 11 Castriota , memore e grato , spedi nelle spiagge adriaticbe una scelta milizia , che fu mandata nei feudi del Principe di Taranto, dove scrive il Summonte “ ninna cosa vi lasciorno sicura , non v’ era armento cosi distante che “ por il corso del dì non fosse preso : era attissima à furti, & à rapino “ questa schiera di genti.... „ (462). Gessata la guerra, gli Albanesi chiesero di restare nel Regno, e Ferrante 1 assentì al loro proposito , non tanto in guiderdone dei servigi