La critica e l'arte di Leonardo da Vinci
190 PARTE SECONDA
Il Vasari ha ammirato, non senza una punta d'ironia, la estrema finitezza dell’esecuzione vinciana. È critici posteriori han trovato eccessivo lo scrupolo esecutivo, come se Leonardo avesse veduto tutte le cose troppo da vicino, Perchè l’uno e gli altri han confuso due fatti essenzialmente distinti. Certo, nella « Vergine delle rocce », chi voglia, può contare i fiori e le foglie ; ma quegli non vede il quadro, non vede l’opera d'arte. Osservate un gruppo di felci a sinistra dietro le figure; se le guardate da sole, con la lente, le vedrete finite; ma se guardate il quadro vedrete una forma non finita che sì smarrisce nell’ombra, lasciando appena una traccia di sè in filamenti di tenuissima luce. Così compiva Leonardo l’opera sua, così intendeva di finire il « non finito ». E solo per non aver compreso che lo scrupolo esecutivo di lui era un perseguire incessante la subordinazione del particolare alla visione sintetica, e non un realizzare tutti i particolari sopra un medesimo piano, si è potuto dire che, completandole, Leonardo guastava le sue pitture, mentre ogni ciottolo realizzato significava una vibrazione del cosmo creato da lui.
Se mai, la sua singolarità, di fronte a chiunque altro abbia attuato in pittura la veduta lontana, sta appunto in questo, che egli seppe distinguere acutissimamente la veduta artistica del non finito in natura, dalla pratica esecutiva dell’abbozzo. Egli ebbe cioè più degli altri coscienza della libertà degli effetti artistici dall’esecuzione meccanica. Negli abbozzi dell’ « Adorazione dei Magi» e del «S. Girolamo», come nelle opere compiute della « Vergine delle rocce » e della « Gioconda », è attuata una sola visione pittorica, che non ha rapporti di sorta con il particolarismo visivo della maggior parte dei pittori del Quattrocento. Tanto è vero che la « Gioconda » o la testa di Cristo nella « Cena », sebbene finitissime, furono credute non finite dai contemporanei,