Un giudizio intorno a Venezia di uno scrittore marchigiano del secolo XVI
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volto con I' animo ad altro studio, non isperava di loro alcuna lode riportarne ». E I’ altro studio doveva essere senza dubbio la giurisprudenza. Ma che il Simonetii fosse profondo nel giure è prova la scrittura con cui difende Venezia d’ aver conchiusa la pace col turco. Ora, senza qui riferire le buone e acute ragioni politico-legali dello scrittore marchigiano, mi limiterò a riportare un suo giudizio sulla veneta Repubblica, che mi sembra considerevole non solo per imparzialità eri elevatezza di concetti, ma altresì per un caldo amor patrio, che non si arresta alle mura del loco natio, ma si estende alla gran madre Italia. E un linguaggio che suona diverso da quello che a cotesti tempi correva. E un pensatore che con occhio tranquillo guarda attorno a sé e vede il disfacimento morale e politico d’ Italia e ne studia la genesi con la freddezza dell’ uomo superiore alle passioni. Dal giorno che a Carlo Vili fu lecito di pigliare Italia col gesso, come disse il Machiavelli, la penisola era divenuta schiava e vituperata, senza che più vi fosse osservanza di religione, di leggi, di milizia. Solo di estremo bagliore splendeva ancora la gloria italiana sulle venete lagune. Pei’ ciò era naturale che contro Venezìa si rivolgessero 1’ ira e il livore degli stranieri. Ma non pareva ragionevole al Sirnonetti che a quest’ odio partecipassero anche gli italiani, 0 ciechi italiani! esclama egli, spiegando la cagione del non ragionevole odio , che quasi generalmente pare che si porti a questa Repubblica, senza sua colpa . Questo giudizio sereno di un onesto animo, non veneziano, si può ben mettere sulla bilancia della giustizia per contrapposto al biasimo interessato che Venezia si procacciò con la sua politica coraggiosamente e apertamente contraria ad ogni ingerenza straniera in Italia. Ma ecco, senza più, le parole del Sirnonetti :